Da sinistra, Boris Nemtsov, Sergei Udaltsov e Aleksei Navalnij durante una manifestazione di protesta (Foto: Yuri Kozyrev / NOOR)
Quella che è stata definita la Rivoluzione Bianca parte da lontano, dal 2007. Ma inizia a prendere consistenza la sera del 4 dicembre del 2011. Si sono appena concluse le votazioni per eleggere i rappresentanti della Duma di Stato e gli occhi di tutti i cittadini della Federazione sono piantati sulle televisioni e sui maggiori siti d’informazione.
L’attesa per i risultati è alta. E si diluisce man mano che appaiono prima gli exit poll, poi i dati ufficiali. E i numeri che il mondo e la Russia si ritrovano a commentare indicano non solo un esito certo. Ma evidenziano che c’è vincitore quasi assoluto: si tratta di Russia Unita, il partito di Putin e Medvedev.
La notte delle elezioni
Il primo dato che compare sui monitor — Russia Unità al 146% — è ovviamente frutto di un errore. Qualche grafico ha sbagliato con i pannelli. Ma il senso dei risultati che arrivano man mano da tutte le regioni della Federazione è lo stesso. L’affermazione di Russia Unita è netta. E i numeri definitivi lo confermano. I dati della Commissione Elettorale Centrale parlano chiaro: in Cecenia Russia Unita raggiunge il 98,6% dei voti. Nella repubblica di Cabardino-Balcaria il 98,2%. In quella di Karachaevo-Cherkesiya il 93,2%. A Mosca, invece, si tocca il 46,6%.
Secondo un sondaggio effettuato dal Fondo dell'opinione pubblica alla fine di ottobre, circa un terzo dei russi ritiene che nella Federazione sia di casa il pluralismo politico e partitico. In particolare, alla domanda se esista al giorno d'oggi un'opposizione politica in Russia, il 36% ha risposto di sì, mentre il 27% ha optato per il no. Resta un 37% di rispondenti che non ha saputo esprimere un'opinione compiuta su questo punto. Per avere un termine di confronto con il passato, nel giugno del 2007 aveva risposto affermativamente il 48% dei cittadini coinvolti nell'indagine e negativamente il 19%. Anche in quell'occasione la fetta più importante (ben il 42%) era composta da coloro che non avevano un'opinione precisa al riguardo.Inoltre, la convinzione secondo la quale le autorità si stanno comportando secondo le regole democratiche nei confronti degli avversari politici è maggioritaria tra i cittadini russi. Chi riconosce all'opposizione una certa influenza, valuta questo suo ruolo come positivo per la vita all'interno della Federazione.
È comunque un risultato inaspettato: secondo proiezioni ed exit poll, nella regione della capitale della Federazione, Russia Unita non avrebbe dovuto superare il 30% dei consensi.
La reazione è immediata: per i partiti d’opposizione si tratta di cifre sbagliate, false, truccate. Partono i primi comunicati e l’indignazione di migliaia di cittadini cresce a livelli esponenziali. E i leader che durante la campagna elettorale si sono opposti al partito di Putin decidono subito di avviare una protesta.
La reazione delle opposizioni
Il movimento più attivo nelle ore successive allo spoglio delle schede elettorali è il gruppo Solidarnost, i cui vertici sono rappresentati dall’ex vice premier durante la presidenza di Boris Eltsin, Boris Nemtsov, dal campione di scacchi Garry Kasparov e dal giovane attivista IliaYashin, ventotto anni. Alla manifestazione in piazza viene invitato anche Aleksei Navalnij, uno dei volti dell’opposizione al governo. Navalnij è leader del Fondo per la lotta alla corruzione e soprattutto è un blogger di fama, che riesce con i suoi post a coinvolgere migliaia di persone sul web. Il cinque dicembre, oltre quindicimila persone si ritrovano in strada per denunciare i presunti brogli elettorali. La Rivoluzione Bianca ha formalmente inizio.
Formalmente, certo: perché la sua storia era partita da lontano, dalla stagione del 2007-2008, il periodo delle prime contrapposizioni tra governo e opposizione.
In piazza
Il numero dei partecipanti va oltre le aspettative degli organizzatori. “Le ragioni per scendere in piazza erano più che sufficienti”, ricorda Boris Nemtsov. “Ma nonostante questo, noi non ci aspettavamo che si sarebbe riunita tanta gente. Ammetto che ci siamo pure disorientati un poco, non avevamo pianificato un evento di quelle dimensioni”. E la sensazione di aver raggiunto un successo insperato è diffusa.
Il trentaquattrenne socialista, capo del Levij Front, Sergei Udaltsov in quel giorno era agli arresti domiciliari e non poteva partecipare alla manifestazione del 5 dicembre, non credette alle sue orecchie. “Durante quell’anno organizzammo una lunga serie di incontri, mobilitazioni, manifestazioni. Ma non andavamo mai oltre la presenza dei soli attivisti. Quel giorno in piazza c’erano anche migliaia di cittadini semplicemente indignati”.
Ancora: “Il 4 dicembre 2011, come giornalista specializzato in meeting di protesta, sapevo che il giorno dopo ci sarebbe stato un forte movimento compatto. Le elezioni non erano oneste e l'irritazione della gente era tale, che negli stessi social network, le azioni di protesta erano già state annunciate. Ma nel complesso, immaginare le dimensioni del movimento, o quantomeno, cercare di prevederne l'entità non era nelle capacità né dei giornalisti, né del governo, come neppure dei mani- festanti stessi”, ricorda Andrei Kozenko, ricercatore, corrispondente speciale di Medusa, ha commentato i movimenti di protesta per il giornale Kommersant ed è stato uno degli “infiltrati”nei circoli d'opposizione dei reporter russi.
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L’ordine pubblico
Quel 5 dicembre inizia non solo la fase di piazza dell’opposizione. Un altro canovaccio - poi replicato nei mesi successivi - è immediatamente ben visibile. Ce ne si accorge quando i manifestanti cercano di raggiungere la Piazza Rossa, cercano di portare le ragioni della protesta direttamente alle porte del Cremlino.
Le forze dell’ordine vengono schierate per impedire qualsiasi avvicinamento dei manifestanti alla sede della presidenza della Federazione. La polizia carica, ci sono alcuni scontri e alla fine della giornata più di trecento persone vengono fermate. Aleksei Navalnij e Ilia Yashin saranno trattenuti per quindici giorni. Il mattino successivo, a Mosca, l’esercito sostituirà la polizia per gestire l’ordine pubblico.
Ma gli arresti e l’inasprimento dei controlli hanno un solo effetto: aumentare la rabbia e le proteste dei cittadini. La mobilitazione continua e nel successivo fine settimana.
Il fine settimana il 10 dicembre, oltre centomila persone si riuniscono in Piazza Bolotnaja. Si tratta della manifestazione più imponente dalla fine dal crollo dell’Unione Sovietica.
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E dall’indignazione si passa alle richieste: le dimissioni di Churov, il responsabile della commissione elettorale centrale, la cancellazione dell’esito delle elezioni e l’indizione di nuove consultazioni aperte a tutti i partiti e la richiesta di liberazione dei prigionieri politici, fra i quali, anche Mikhail Khodorkovskij, l’ex capo di Yukos.
Le opposizioni divise
Quel dieci dicembre si registra anche una prima frattura nel fronte delle opposizioni. Inizialmente, infatti, le azioni di protesta sarebbero dovute svolgersi a trecento metri dal Cremlino, in piazza della Rivoluzione.
Il permesso non venne concesso: le autorità di Mosca indicarono tra i motivi del rifiuto un improvviso intervento di riparazione delle condotte sotterranee, esattamente a quell’altezza.
La parte più radicale dell’opposizione - tra cui il Partito Neobolscevico di Eduard Limonov non registrato, l’estrema destra e i socialisti - non crede al guasto e dichiara che sarebbe andata lo stesso in piazza della Rivoluzione. La parte liberale, invece, dopo le trattative condotte nella notte con gli esponenti delle autorità decide di spostare la manifestazione in piazza Bolotnaja, situata fra la Moscova da un lato e i palazzi degli uffici dall’altro.
E nei giorni successivi le sorprese non mancano: dopo il 10 dicembre i neo-bolscevichi di Limonov annunciano il loro passo indietro: non parteciperanno più ad azioni congiunte con gli altri partiti d’opposizione. Stessa decisione da parte dei radicali nazionalisti. Le altre formazioni si riuniscono nel “Consiglio di Coordinazione dell’Opposizione” (Ccco).Viene stilato un calendario delle iniziative: sit-in, concerti, flash mob con artisti e scrittori russi, sfilata di macchine con slogan anti-Putin.
E il governo? “Demoralizzava i partecipanti al meeting, facendogli sentire di essere in minoranza. Per gli oppositori, gli scontri sono cosa abituale sin dal 2007. Ma per molti di quelli che avevano partecipato per la prima volta nella vita a manifestazioni, il meeting del 5 dicembre aveva messo paura. Quando le tue richieste non vengono rispettate, o ti radicalizzi o smetti di protestare. Hai lavoro, credito, ipoteca, vacanze in Europa d'estate, amici apolitici. Pochi sono quelli pronti, con simile background, a passare all'opposizione dura. E per molti oppositori, come oggi noi sappiamo, il tutto si è trasformato in seguito in processi penali, arresti e periodi di tempo da scontare in prigione”, dice Andrei Kozenko.
Il Natale in bianco
La notte del 24 dicembre una manifestazione oceanica: 150mila persone si riuniscono sulla prospettiva Sakharov. E nell’inverno la coalizione cerca di formare un fronte compatto per combattere politicamente la candidatura di Vladimir Putin al Cremlino. Il 6 maggio del 2012, alla vigilia dell’incarico formale dato a Putin, 20mila persone tornano ad attraversare Mosca. Piazza Bolotnaja viene occupata. Ma le forze dell’ordine disperdono la folla immediatamente. E da allora il lavoro delle opposizioni va fuori dalla luce dei riflettori. Torna ad essere un lavoro di lunga durata per costruire un’alternativa politica alla presidenza Putin. Nelle parole di Aleksei Navalnij, “una lunga e ostinata lotta per il potere che deve essere condotta con tutti i mezzi legali possibili”. Poi la protesta si spegne.
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E oggi?
I leader dell’opposizione hanno preso strade diverse: Kasparov negli Stati Uniti, Navalnij sotto inchiesta per frode fiscale, Nemtsov eletto alla Duma.
E in questi anni gli analisti internazionali hanno fornito numerose chiavi di lettura alla Rivoluzione bianca. Dal carattere puramente dimostrativo delle manifestazioni alla considerazione che i movimenti in piazza non avessero un realistico programma per governare il paese. E la domanda che attraversa parte dell’opinione pubblica è se una seconda Bolotnaja sia possibile. “Per arrivarvi servirebbe la spinta di un'insoddisfazione accumulata, o ancora, lo stimolo di un'ingiustizia palese e improvvisa”, dice Andrei Kozenko, corrispondente della Medusa. L’opposizione ritornerà? “Credo che nel biennio 2015-2016 ci potranno essere azioni di protesta di massa, ma in primo luogo emergeranno questioni socio-economiche”. Così Nikolai Ryzhkov, storico russo e politico liberale, co-presidente del partito politico RPR-PARNAS. “Ciò è legato al fatto che i redditi di buona parte dei cittadini si abbasseranno, i posti di lavoro diminuiranno e crescerà l’inflazione”, continua Ryzhkov. In Russia come nel resto del mondo vincerà chi offrirà l’exit strategy alla crisi più credibile e convincente.
L'articolo è stato pubblicato nel numero cartaceo di Rbth dell'11 dicembre 2014
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