Eurovision, la politica sale sul palco

La cantante ucraina Jamala festeggia la vittoria all'Eurovision Song Contest.

La cantante ucraina Jamala festeggia la vittoria all'Eurovision Song Contest.

: AP
Con la vittoria della canzone “1944” della cantante ucraina Jamala, il festival a Stoccolma ha ottenuto la sua scofitta più grande, sostiene Bryan McDonald. Adesso che la politica è entrata dentro al concorso potrebbe finire per divorare sé stessa

Sotto molti aspetti la vittoria carica di contenuti politici di Jamala all’Eurovision sembra essere alquanto di cattivo auspicio per il festival. Fin dalla sua inaugurazione, nel 1956, la competizione ha sempre evitato polemiche sociali. Non ci sono state, ad esempio, canzoni bosniache dopo il genocidio, o brani irlandesi sull’oppressione britannica. Non si sono sentiti nemmeno ritornelli israeliani sull’olocausto o pezzi di ciprioti prendendo di mira la Turchia.

Se osserviamo più da vicino le votazioni, sembra che la diffidenza politica tra Mosca e Kiev si limiti esclusivamente alle élite dei due Paesi: mentre i giurati nazionali, nominati dalle tv statali, non hanno dimostrato simpatia verso i propri rivali, il pubblico russo ha invece attribuito 10 punti all’Ucraina, il secondo punteggio più alto dopo l’Armenia, mentre i votanti ucraini hanno conferito dodici punti ai russi, il punteggio più alto. 

A seguito della recente adesione della Crimea, la nazionalità della vincitrice Jamala, per metà tatara di Crimea e per metà armena, ha occupato i titoli dei giornali.

Nata in Kirghizistan, si identifica come ucraina. La canzone con la quale ha vinto il concorso, “1944”, racconta la deportazione forzata ordinata da un georgiano che all'epoca controllava lo Stato di cui la Russia rappresentava la parte più importante.

La stessa Jamala ha ammesso che “1944” è una sorta di protesta contro la Russia per quanto accaduto in Crimea. Ad ogni modo la sua avversione nei confronti della Russia non sembra essere così profonda. In occasione del capodanno scorso, infatti, non ha avuto nessun problema ad accettare i rubli che le erano stati offerti per esibirsi a Sochi.

Se tutto ciò suona complicato è perché la storia dell’antica Urss e dell’Europa dell’Est può risultare alquanto confusa. Gli ideali e le alleanze poche volte risultano semplicemente o bianchi o neri. Per un tataro di Crimea, il 1944 rappresenta l’anno in cui Stalin ha deportato i suoi antenati. Mentre per i polacchi, ad esempio, il 1944 è l’anno dei massacri di Volinia nella Galizia orientale a opera dei nazionalisti ucraini. Il loro leader, Stepan Bandera, oggi è considerato un eroe da parte del regime nato a Kiev nel dopo-Maidan. Altri polacchi invece, pensando al 1944 ricordando l’indifferenza delle truppe sovietiche durante la rivolta di Varsavia. Allo stesso tempo i russi ricordano che quest’anno vennero espulse le truppe naziste dal territorio sovietico.

È possibile che a Stoccolma, luogo di origine degli ABBA, l’Eurovision abbia ottenuto la sua scofitta più grande. Adesso che la politica è entrata dentro al concorso potrebbe finire per divorare sé stessa. Cosa potrebbe impedire agli irlandesi di presentarsi con una canzone “ribelle” per commemorare la grande carestia sofferta durante la dominazine britannica? Chi potrebbe fare obiezioni nel caso in cui il prossimo anno i russi dovessero decidere di presentarsi a Kiev con una ballata che faccia allusione al massacro di Odessa del 2014?

Jamala non è stata una scelta del pubblico. È abbastanza chiaro che le giurie nazionali in tutta Europa l’hanno sostenuta per dimostrare la propria solidarietà con l’Ucraina. Per un lungo periodo il rompicapo più grande per gli organizzatori dell’Eurovision riguardava se sarebbe stato possibile mantenere bianco l’abito del cantante irlandese Johnny Logan, mentre ora hanno nelle loro mani una vera bomba a orologeria: improvvisamente la politica si è fatta spazio sulla scena.

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