L'illustrazione è di Tatiana Perelygina
La sua esperienza di Hitchcock era estranea allo stile del realismo socialista, e i temi freudiani dei suoi film apparivano pseudoscientifici. Ecco perché in Russia la scuola della supense psicologica hitchcockiana, che pure ha dato vita a un linguaggio cinematografico globale, è passata praticamente inosservata.Nei cinema sovietici approdavano ogni anno cinque o sei film americani, opere di registi che la stampa sovietica semi-ufficiale definiva progressisti. Di Hitchcock fu mostrato solo “Il delitto perfetto”, e il pubblico russo rimase quindi a lungo all’oscuro delle sue opere migliori. I film di Hitchcock non venivano facilmente mostrati nemmeno in occasione delle proiezioni riservate agli addetti ai lavori, perché ritenuti troppo “pop” dai critici più intellettuali, che disprezzavano l’intrattenimento di massa.
Solleticare i nervi degli spettatori era considerata un’impresa indecorosa. Se il concetto di suspense riuscì comunque ad insinuarsi nel cinema sovietico fu grazie a film di genere più “alto”, come “Stalker” o “Solaris” di Andrej Tarkovskij: un regista intuitivamente sensibile alle tendenze artistiche globali, nonché uno dei pochi autori che utilizzavano il genere popolare del fantasy per creare film che non venivano considerati di intrattenimento, e che riusciva a creare praticamente dal nulla un’atmosfera di opprimente tensione, grazie alle angolazioni dell’inquadratura, alle luci, ai suoni e al ritmo narrativo.
Eppure, stando al noto critico cinematografico Vladimir Dmitriev, il regista di “Lo specchio” non dimostrò mai un grande interesse nei confronti del creatore di “Psycho”. Qualche indizio di uno stile intuitivamente hitchcockiano può essere scorto invece in due thriller di Vladimir Khotinenko: “Makarov”, nella quale si racconta di un poeta che, desideroso di riacquistare un perduto senso di sicurezza, acquista una pistola Makarov e ne diventa schiavo, e “72 metri”. Nei primi anni Novanta, quando un mercato sovietico che già stava cambiando fu inondato dai film più famosi di Hitchcock, agli spettatori finalmente si chiuse quel mondo spaventoso e psicologico che già era stato indicato loro dal regista di “Stalker”.
A un tratto il cineasta britannico divenne patrimonio esclusivo dei cinema d’essai e delle cineteche private. In quegli anni in Russia cinema popolare e cinema di élite erano considerati opposti inconciliabili, e negli ambienti della critica fu lo snobismo ad avere il sopravvento. Formalmente la scuola di Hitchcock era rispettata, ma i film del regista britannico erano considerati alla stregua di opere da museo: troppo convenzionali e “artistiche” per il cinema realistico. Ad esempio Aleksandr Sokurov, premiato ai festival del cinema di Venezia e di Berlino (“Arca russa”, “Toro”, “Faust”) rifiuta la manipolazione delle emozioni degli spettatori − e di conseguenza rifiuta Hitchcock. Oggi le opere di Hitchcock vengono trasmesse di frequente dalla tv e vengono mostrate agli studenti di cinema nelle Università. Eppure i suoi primi film continuano ad essere poco noti − non solo in Russia, ma anche in Gran Bretagna. Hitchcock degli esordi creava storie melodrammatiche che non suscitavano paura negli spettatori. Alla luce di queste considerazioni, il festival rappresenta un’opportunità per vedere questo regista sotto una luce completamente diversa.
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