Disegni di Natalia Mikhailenko
Le elezioni al Parlamento europeo sono state definite un terremoto politico. Anche se si tratta di un’esagerazione, è un fatto che il voto sia indicatore di un certo stato d’animo. Dopo la guerra fredda, l'Europa ha conosciuto un boom senza precedenti. Il culmine è arrivato tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo. Allora il Vecchio Mondo sentiva di avere la forza per poter affrontare contemporaneamente due grandi progetti. In primo luogo, un processo di integrazione senza precedenti attraverso la realizzazione dell'unione monetaria e politica: in sostanza, la creazione degli Stati Uniti d'Europa. In secondo luogo l'allargamento su larga scala dell'UE, che doveva espandersi in tutto il mondo ex comunista ad eccezione della Russia.
Era sottinteso che l'Unione Europea sarebbe diventata un centro di potere economico e politico mondiale, pari a giganti come la Cina e gli Stati Uniti. Il fondamento ideologico di questa spinta si basava sull’idea di una giustificazione storico e morale dell’unità come volontaria delega dei poteri sovrani, rifiuto del nazionalismo e della rivalità, nuovo tipo di relazioni internazionali senza doppi fini.
Il trattato di Lisbona dell'UE che ha formalmente fissato la realtà auspicabile e attraverso il quale sono stati conferiti al Parlamento europeo poteri ampliati, ha poco più di cinque anni. L’Europa sta superando la crisi economica scricchiolando, da tutte le parti nascono sentimenti nazionalisti, ultraconservatori e euroscettici, per non parlare del ruolo guida nella scena mondiale. I tentativi di giocare un ruolo anche nelle regioni adiacenti dell'Europa orientale e del Medio Oriente si sono conclusi in maniera caotica. Basta guardare al ruolo dell'UE nel fomentare la crisi in Ucraina. La cosa importante è che l’Europa da tanto tempo non era così scissa come è emerso essere adesso a seguito delle elezioni.
Il Vecchio Mondo non è stato in grado di conciliare le ambizioni della rappresentanza governativa, già di spirito cosmopolita e sovra-nazionale, con le aspirazioni dei suoi costituenti. Il semplice cittadino non ha mai avuto voce in capitolo nel processo decisionale all'interno dell'UE (istituzione puramente elitaria), ma gli avevano semplicemente spiegato quali sarebbero stati i suoi vantaggi. Ora il tutto è diventato così complesso e macchinoso, e le semplici spiegazioni non bastano più. In compenso si sono diffuse argomentazioni semplici circa i danni e al fatto che si sia data nuova vita ai partiti populisti di qualsiasi tipo, sia di sinistra che di destra.
Se non fosse chiaro quale razza di mostro burocratico cresca a Bruxelles, torniamo alla sua terra natale. Anche qui crescono i sentimenti a favore della sovranità, al motto di "restituiteci il nostro stato”. La crisi dell’Unione Europea è la manifestazione in generale della crisi del modello della globalizzazione.
La Russia ha un'esperienza contraddittoria in merito all’interazione con l'Unione Europea nel periodo di massimo splendore delle sue ambizioni. All'inizio del secolo, molti speravano che l'Europa unita sarebbe diventata un centro autonomo, indipendente dagli Stati Uniti e in grado di favorire l’equilibrio di potere nello scenario internazionale. Ciò non è accaduto. Il peso politico che i paesi del vecchio mondo - Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia - avevano 20 anni fa era maggiore rispetto a quello che ha l’intera Europa oggi. Perciò è sbagliato relazionarsi a questo come fosse un giocatore forte. Ma pragmaticamente trovare degli accordi con questo non è possibile perché l'Unione Europea ha un’ altissima considerazione di sé. Egli si considera come al vertice dell'universo sulla base di una presunta correttezza morale, così gli altri devono agire sulla base di regole da essa stabilita. Tuttavia, l’Europa non è in grado di raggiungere una coesione interna e ciò fa sì che le relazioni con i partner esterni diventino una farsa tormentata.
La tendenza verso la “ri-nazionalizzazione” della politica, testimoniata dalle recenti elezioni del Parlamento europeo, per molti in Russia è incoraggiante. Alla fine il Vecchio Mondo ritorna ai vecchi buoni principi e il pendolo, che prima oscillava verso il dogmatismo liberale, oscillerà sempre più verso regole più conservatrici. Purtroppo, non è detto che la nuova fase sarà più costruttiva.
I partiti antisemiti sono eterogenei, la maggior parte di loro non ha nessun programma positivo. Al governo rimarranno i partiti tradizionali, conducendo una politica convenzionale (la differenza tra la sinistra moderata e destra moderata praticamente non esiste), ma in condizioni sfavorevoli a causa della presenza di un'opposizione di estrema sinistra e destra. Gli squilibri interni in Europa influenzeranno la sua efficacia e il mancato raggiungimento del risultato desiderato porterà a cercare una compensazione simbolica. Il goffo tentativo di diffondere il modello europeo in altri paesi completamente impreparati a questo (si veda il caso dell’Ucraina) rientra in questa categoria.
La sfida europea per la Russia oggi non è rappresentata dalla forza e dal vigore del Vecchio Mondo, dal quale bisogna difendersi, ma dalla debolezza dell'Europa, della sua insicurezza, dal suo andare da un estremo all’altro. Uno di questi estremi è stato ad esempio fare un passo indietro sulla loro indipendenza e sottomettersi al consueto patronato degli Stati Uniti. Fingendo che la Russia sia ancora l'Unione Sovietica e che vi sia la necessità di consolidare l’unità contro un nemico comune. Tuttavia non funziona lo stesso, ma perdono tutti tempo.
Eppure proprio adesso dell’Europa abbiamo bisogno. Nel contesto della necessaria svolta della Russia in direzione dell'Asia, al paese, europeo per cultura e tradizione, serve un faro attendibile che indichi il porto in modo da non rischiare di perdere l'orientamento. Ma l'ambita luce lampeggia e si spegne nella nebbia.
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