Vignetta di Niyaz Karim
L’escalation di tensioni tra la piccola repubblica post-sovietica della Moldavia e la sua regione secessionista della Transnistria è interpretata dalla maggior parte della stampa occidentale e dei funzionari delle strutture dell’Ue come un'ulteriore manifestazione della politica imperiale della Russia in questa regione.
Il fatto che siano state le autorità stesse della Transnistria a prendere la decisione di istituire posti di blocco lungo la linea di demarcazione che divideva la Transnistria dal resto della Moldavia, dopo la breve guerra del 1992, viene generalmente ignorato in Europa. Bruxelles e le altre capitali europee sono ancora abituate, infatti, a interpretare la situazione nei nuovi Stati indipendenti nei territori dell’ex Unione Sovietica in base alla vecchia dicotomia secondo cui i regimi filo-russi sarebbero “cattivi” e quelli filo-occidentali “progressisti”.
Sono davvero pochi i giornali che riportano come l’attuale ciclo di cambiamenti sia stato in realtà innescato dalla decisione, presa, nel mese di aprile 2013, da Chisinau, la capitale della Moldavia, di imporre limitazioni ai cittadini russi che vivono in Transnistria (circa 150mila persone) e che costituiscono un quarto della popolazione totale di questo Paese.
Le autorità moldave dicono di averlo fatto per stabilire l’ordine lungo la futura frontiera orientale dell’Unione Europea, a cui la Repubblica Moldova ha intenzione di aderire. “I rigidi controlli dei passaporti russi ai posti di blocco lungo i confini sono stati interpretati dalla Transnistria come un passo della Moldavia verso l’Ue e la sua possibile fusione con la Romania, il che costituirebbe, di fatto, un allontanamento dalla Transnistria, dalla Russia e dall’Ucraina”, commenta Svetlana Gamova, una specialista di Moldavia, che ha vissuto per lungo tempo in Transnistria, e che ora scrive, da Mosca, per il quotidiano Nezavisimaya Gazeta. Dinanzi a questo fatto, la Transnistria si è vista costretta a rafforzare il confine “intra-moldavo”, nonostante questo non sia stato ancora riconosciuto ufficialmente, e a prepararsi per un potenziale nuovo conflitto.
Considerando la storia tumultuosa della Moldavia, si può intuire la drammaticità della situazione. La capitale Chisinau e la maggior parte dei territori della Moldavia moderna erano parte della Romania fino alla Seconda Guerra Mondiale. Quella che oggi è la Transnistria, tra il 1920 e il 1940, non era che una piccola autonomia moldava all’interno di quella che allora era l’Ucraina sovietica. I venti anni di tumultuosi cambiamenti, a cui fu sottoposta l’Unione Sovietica durante l’epoca di Stalin, resero questa parte della Moldavia un luogo molto diverso. Con una popolazione mista composta da moldavi, russi e ucraini, la Transnistria reagì con un certo nervosismo alle voci di una possibile “riunificazione” della Moldavia con la Romania, nei primi Anni ‘90, quando, a seguito al crollo dell’Unione Sovietica, si andava delineando rapidamente una nuova realtà geopolitica. Questo nervosismo innescò una breve guerra nel 1992, dopo la quale la lava post-sovietica si raffreddò per un po’. Il fiume Nistro divide ora la Moldavia dalla Transnistria, uno Stato indipendente de facto, ma non ancora riconosciuto a livello internazionale.
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Da allora, si è cercato più volte di risolvere il problema nel quadro dei cosiddetti negoziati in formato 5+2 (con la Moldavia e la Transnistria in qualità di parti implicate nei negoziati, la Russia, l’Ucraina e l’Osce in qualità di intermediari e l’Unione Europea e gli Stati Uniti come osservatori). Si sono poi create diverse situazioni che hanno, di fatto, contraddetto gli stereotipi occidentali sulla questione. Come, ad esempio, il “cambiamento di facce” avvenuto nel palazzo presidenziale (Evgeny Shevchuk ha vinto le tanto contestate elezioni presidenziali del 2011 contro Igor Smirnov, per lungo tempo leader incontrastato del Paese e denunciato dalla stampa occidentale quale “dittatore in stile sovietico”); o il fatto che la Russia, in realtà, appoggiò, a un certo punto, la spinta della Moldavia a riunificarsi con la Transnistria, nel 2003, quando il rappresentante russo Dmitri Kozak suggerì una soluzione pacifica del problema, respinta, poi, all’ultimo momento dal presidente della Moldavia, Vladimir Voronin, sotto la pressione dell’Osce.
Anche adesso, gli stereotipi continuano a ostacolare la strada verso un accordo di pace. Il buon rapporto di lavoro che si era stabilito tra il leader della Transnistria, Evgeny Shevchuk, e il premier moldavo, Vlad Filat, prima del crollo della coalizione al governo della Moldavia, non è una garanzia contro una nuova esplosione del vulcano moldavo. In effetti, la spinta dell’Unione Europea, per una rapida risoluzione del problema, rafforzata dalle promesse di integrazione della Moldavia all’Ue come ricompensa, potrebbero avere un effetto negativo. Se si vogliono ottenere dei risultati, bisogna saper scendere a compromessi.
Dmitri Babich è un analista politico della radio “La Voce della Russia”. Ha commentato notizie di natura geopolitica per diversi media mondiali tra cui la BBC e RT
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