Dietro la "nazionalizzazione delle élites"

Vignetta di Niyaz Karim

Vignetta di Niyaz Karim

La campagna anticorruzione in Russia sta rapidamente prendendo piede

Vladimir Putin ha compiuto un altro passo sulla strada che è stata già definita come la "nazionalizzazione dell'élite". Il Presidente ha firmato alcune disposizioni che stabiliscono le modalità di presentazione della dichiarazione dei redditi e delle spese sostenute dai funzionari statali. Entro il 1° luglio 2013 i funzionari russi dovranno alienare le azioni di società straniere, rinunciare ai conti bancari esteri e a tutti gli altri beni eventualmente posseduti fuori del loro Paese. I funzionari dovranno inoltre dichiarare ogni ingente acquisto (il cui importo superi di tre volte la loro retribuzione annua) effettuato a nome proprio, del coniuge o dei figli minorenni.

I controlli sul rispetto delle nuove norme sono stati affidati da Putin non alla Corte dei Conti, alla Procura, al Comitato inquirente, oppure all'Fsb (Servizio di Sicurezza Federale), bensì alla propria Amministrazione, e precisamente al presidium del Consiglio presidenziale per la lotta alla corruzione guidato da Sergei Ivanov. Evidentemente, Putin non ha piena fiducia in nessuno degli organismi appena elencati, e non vuole trasformarli in un "super organismo" incaricato di fare pulizia tra i burocrati.   

Le nuove misure hanno già suscitato reazioni contrastanti. Alcuni fanno notare che in questa legge rimangono pur sempre delle "scappatoie" per chi si lascia corrompere. Ad esempio, i beni privati  e i conti bancari all'estero possono ancora essere intestati, come un tempo, alle società di gestione patrimoniale. I beni delle società di proprietà del coniuge o dei figli dei funzionari non sono soggetti ad alcun controllo. Probabilmente, col tempo verranno evidenziati anche altri punti deboli della nuova legge.

Tutto ciò induce a riflettere sui motivi della mitezza mostrata dal Presidente. Da un lato, Putin compie una mossa del tutto logica per un politico: va incontro ai sentimenti dell'opinione pubblica dominanti nel Paese. Secondo i dati del centro di ricerche sociologiche Levada, il 46 per cento dei cittadini russi ritiene che la lotta alla corruzione debba diventare il principale obiettivo dell'azione di Putin (secondo per importanza solo alla necessità di "assicurare la ripresa dell'economia", sostenuta dal 53 per cento degli intervistati). D'altro canto, il Presidente non può non tener conto dei limiti della sua libertà di azione.

Più di due terzi della popolazione hanno accolto con favore le misure che limitano la facoltà dei funzionari di possedere conti bancari e proprietà all'estero. Tra i russi è ampiamente diffusa l'opinione che una parte consistente dei funzionari statali voglia legare il proprio futuro e il futuro dei propri figli soprattutto all'Occidente, dove si trovano i loro conti bancari, dove essi si recano per le vacanze, dove spesso i loro familiari vivono e i loro figli studiano. I dirigenti del Paese, per parte loro, sono fortemente convinti del fatto che il possesso di beni all'estero renda i funzionari più vulnerabili alle influenze straniere indesiderate e persino ai ricatti, compromettendo così la sovranità del Paese e la sua capacità di condurre una politica estera libera e indipendente. 

La popolazione, molto probabilmente, appoggerebbe anche misure assai più dure, come il divieto per i funzionari di recarsi all'estero se non in caso di estrema necessità, di curarsi fuori del paese, di far studiare i loro figli all'estero.  

Il 50 per cento dei russi ritiene che i funzionari che non dichiarano il possesso di immobili all'estero dovrebbero essere perseguiti penalmente. Assecondando sentimenti del genere si rischia di arrivare molto lontano, fino al consenso di una parte della popolazione alle esecuzioni di piazza, alla confisca del patrimonio dei funzionari corrotti, etc.  Putin però non vuole l'istituzione di "guardie rosse" come quelle della Rivoluzione Culturale cinese; non vuole un'epurazione di massa, che di norma si accompagna a disordini di massa. La Russia in passato ha già avuto esperienza di massicce repressioni dei rappresentanti dell'apparato statale, all'epoca di Stalin. Putin, chiaramente, non vuole lanciare una campagna del genere.      

Il Presidente non vuole scatenare una rivoluzione nell'apparato statale. Un brusco giro di vite potrebbe innescare sconvolgimenti politici dai quali il Paese impiegherebbe del tempo per riprendersi. Inoltre, un'azione rivoluzionaria richiederebbe la creazione di un apposito organismo o di una struttura composta di persone incapaci di scendere a compromessi, spietate e senza alcun legame con il sistema, alle dirette dipendenze del Presidente.  

Non è chiaro dove si potrebbe reclutare un gran numero di persone del genere, e chi potrebbe garantire che proprio queste persone si rivelino di un'onestà cristallina e assolutamente incorruttibili? Compiere un passo del genere significa affrontare enormi rischi politici, senza alcuna certezza di non cadere a propria volta vittima di qualche congiura.  Il presidente Putin ha scelto un'altra via, a suo modo un compromesso, che però potrebbe rivelarsi più efficace.  

Putin manda alla nomenklatura un segnale molto chiaro: le regole del gioco stanno cambiando, sono finiti i tempi in cui tutto era consentito, in base al tacito accordo per cui "il permesso di rubare è concesso in cambio della fedeltà politica". A ciascuno sarà dato modo e tempo di adattarsi alle nuove circostanze; chi non vorrà assoggettarsi alle nuove norme andrà incontro non alla fucilazione, ma semplicemente alla destituzione; gli verrà data l'opportunità di dimettersi dall'incarico pubblico e di dedicarsi ad altre attività.

Anche qualora, come prevedono gli scettici, la nuova legge inizialmente venisse applicata in modo selettivo (ne sono convinti il 41 per cento dei cittadini russi intervistati dal Centro Levada),  sarebbe comunque un primo passo nella giusta direzione. Quando il nuovo corso comincerà a fare le sue prime vittime, tra i funzionari si diffonderà la consapevolezza che nessuno nelle nuove condizioni è al riparo dalla punizione, e che ciascuno di loro potrebbe essere il prossimo.  

È importante anche il fatto che la società stessa viene esortata a partecipare all'individuazione dei corrotti. La serie di clamorose dimissioni di deputati e senatori seguite alla pubblicazione in Internet di documenti che li accusavano dimostra che ormai simili denunce non sono più inutili e insensate. Il capo dell'Amministrazione presidenziale Sergei Ivanov ha già dichiarato che chi denuncia i funzionari corrotti potrà contare sulla protezione dello stato. Si mette così in moto un meccanismo per cui i diretti sottoposti di un superiore corrotto non dovranno più temere ritorsioni.

In effetti, il principale fattore di contrasto alla corruzione è la partecipazione attiva della società. Se la società civile crederà alla serietà delle intenzioni del governo, e le sosterrà non solo a parole, ma con i fatti, il successo in questa lotta presto o tardi arriverà di certo.

Georgy Bovt è un noto editorialista russo esperto di politica

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