Il Presidente russo Vladimir Putin insieme al Presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Foto: Konstantin Zavrazhin / RG)
È stata la visita più breve nella storia delle relazioni russo-turche: Vladimir Putin si è trattenuto ad Ankara solo poche ore. Ma l’incontro ufficiale tra il leader del Cremlino e il Presidente turco Recep Erdogan, avvenuto il 1° dicembre, si è rivelato assai proficuo. La Turchia e la Russia hanno stipulato un accordo da 20 miliardi di dollari per la costruzione di una centrale nucleare e di un nuovo gasdotto che dovrebbe sostituire il South Stream e trasformare la Turchia in un hub energetico regionale di estrema importanza.
La visita ufficiale di Vladimir Putin ad Ankara e i colloqui con il Presidente Recep Erdogan, a detta degli esperti, si sono svolti in un momento favorevole per la Russia. “È forse la prima volta, dai tempi di Ataturk, che un leader turco intrattiene relazioni così cordiali con la Russia ed esprime al contempo un giudizio tanto negativo sui paesi occidentali, ritenuti degli aggressori, responsabili di una sistematica politica di lucro nei confronti del mondo islamico. Per questa ragione alcuni media turchi hanno già bollato la visita come un incontro tra due paesi isolati”, dice al nostro corrispondente Vladimir Avatkov, il decano dell’Accademia diplomatica del Ministero degli Esteri della Federazione Russa.
I “due paesi isolati”, insoddisfatti della politica dell’Unione Europea, hanno fatto a Bruxelles una sorpresa davvero sgradita. Durante la sua conferenza stampa, Vladimir Putin ha esordito annunciando la sostituzione del gasdotto South Stream (la cui capacità di trasporto avrebbe dovuto essere pari a 60 miliardi di di metri cubi). “Riscontriamo l’esistenza di difficoltà nella sua realizzazione. Se l’Europa non intende realizzarlo, vuol dire che non sarà realizzato… Non resta nient’altro da aggiungere, del resto sono loro gli acquirenti”, ha dichiarato il Presidente russo.
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A detta di Dmitri Maruchin, esperto del settore gaspetrolifero, nel caso del South Stream non si tratterebbe tanto di una capitolazione del Cremlino, ma del tentativo di esercitare delle pressioni sull’Unione Europea per costringerla a stipulare un accordo sul South Stream, o di puntare in alternativa a un progetto di gasdotto assai meno comodo per l’Ue. Il fatto è che secondo il capo di Gazprom, Alexei Miller, durante la visita di Vladimir Putin è stato siglato un memorandum d’intesa per la costruzione di un gasdotto che dovrebbe transitare attraverso il Mar Nero in direzione della Turchia, con la stessa capacità di 60 miliardi di metri cubi previsti per il South Stream. Di questi 14 miliardi dovrebbero restare in Turchia, mentre i volumi rimanenti prenderebbero la direzione della Grecia.
Di fatto per la Russia non esiste una grande differenza tra i due progetti, dal momento che risolverebbero entrambi un problema nodale, quello dell’esclusione dell’irresponsabile Ucraina dall’iter di transito; il costo dei progetti è più o meno analogo. Tuttavia, Mosca è stata costretta a concedere alla Turchia un bonus per la sua partnership riducendo la tariffa del gas destinato a questo paese del 6% (si vociferava che i turchi avessero chiesto il 15%); un esborso più che accettabile data l’importanza del progetto.
Il blocco della costruzione del South Stream da parte dell’Unione Europea è dovuto a difficoltà di ordine economico e politico. Secondo quanto ha dichiarato Vladimir Putin, la Bulgaria non può far conto su 400 milioni di dollari all’anno. In secondo luogo la Turchia sta per trasformarsi in un hub energetico che potrebbe consentire in futuro il transito degli idrocarburi provenienti dalla Russia, dall’Azerbaigian, e in prospettiva, anche dall’Iran. Il controllo su questi flussi consentirà ad Ankara di rafforzare oltremodo la sua posizione nei negoziati, soprattutto nel caso di un eventuale partenariato per l’adesione della Turchia all’Ue.
Le circostanze favoriscono un avvicinamento tra Mosca e Ankara
Quanto all’effettiva cooperazione russo-turca, Mosca e Ankara appaiono decisamente intenzionate a un avvicinamento sulla base del rispetto degli interessi reciproci.
Un simbolo di questo progresso nelle relazioni bilaterali potrebbe essere costituito dal progetto della costruzione in Turchia di una centrale nucleare ad Akkuyu. “Si tratta di un progetto unico nel suo genere, dal momento che si basa sul principio del “paga-dirigi-sfrutta”, vale a dire che la società russa sarà proprietaria della centrale. Com’è naturale, si tratta di un investimento assai cospicuo, pari a 20 miliardi di dollari”, ha dichiarato il leader russo. La fine della costruzione della centrale è prevista per il 2022.
Gli esperti rilevano che Ankara non cerca di sfruttare la criticità della situazione russa, seguitando a rispettare gli interessi di Mosca nel Caucaso Meridionale. “Il neo-osmanismo turco rispetto al Caucaso Meridionale è enfatizzato, la posizione del tutto prevedibile della Turchia è quella di preservare dei rapporti di cooperazione con l’Azerbaigian e la sua forte influenza sul piano economico e umanitario sulla Georgia, per bilanciare le tensioni e favorire una politica di riconciliazione con l’Armenia. Non esiste alcun tentativo evidente di espansione da parte della Turchia nella regione”, spiega a Rbth Nikolay Silaev, coordinatore del Centro di studi sul Caucaso e sulla sicurezza regionale dell’Università statale di Mosca per le Relazioni internazionali.
Inoltre, la Turchia ha di fatto rifiutato il suo appoggio alla linea antirussa del mejlis dei tatari di Crimea. “Dopo il referendum in Crimea e l’annessione della penisola alla Federazione Russa i leader politici turchi e i media del paese hanno promosso intensamente l’idea dell’assoluta illegalità di quell’atto legislativo. Erano state mosse accuse di aggressione nei confronti della Russia, di violazioni dei diritti dei tatari di Crimea che la Turchia nel corso degli ultimi anni aveva difeso. Tuttavia, nei media turchi la propaganda antirussa riguardo alla Crimea ha cominciato ad affievolirsi. Il problema della cooperazione economica (inclusa l’eventuale presenza di imprenditori turchi nella zona economica franca della Crimea) è diventata per il paese una priorità” sostiene Vladimir Avatkov.
L’unica questione ancora aperta su cui le parti non riescono a trovare un accordo è quella della Siria. Tuttavia, neppure questi dissensi potranno neutralizzare il potenziale di cooperazione ora esistente tra Ankara e Mosca.
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