Perché la Russia difende la Siria

Proteste a Houston contro l'intervento americano in Siria, il 31 agosto 2013 (Foto: AP)

Proteste a Houston contro l'intervento americano in Siria, il 31 agosto 2013 (Foto: AP)

Sfatati i miti delle convenienze economiche, il rischio fondamentalismo islamico è la chiave di volta del "niet" di Mosca a un intervento militare contro Damasco

La minaccia di un attacco americano contro la Siria e la dura reazione di Mosca hanno nuovamente sollevato in molti il dubbio sul perché Mosca si ostini tanto a “difendere” il presidente Assad, che viene presentato dai media occidentali come un dittatore sanguinario, responsabile della morte dei propri pacifici concittadini.

Vengono avanzate molte ipotesi, a partire dalle ambizioni geopolitiche di Mosca fino ai contratti multimiliardari. Se, però, si analizza la situazione veramente a fondo, il quadro che ne esce è alquanto differente.

Tanto per cominciare, bisogna chiarire il fatto che l'esistenza di un'alleanza strategica tra Russia e Siria è soltanto un mito. Le relazioni tra i due Paesi hanno sempre avuto carattere pragmatico. Di fatto, dall'inizio degli anni '90 fino al 2005 tali relazioni bilaterali sono state anzi congelate, a causa della mancata risoluzione del problema del debito della Siria nei confronti dell'ex Unione Sovietica, per un valore di circa 13,4 miliardi di dollari. Damasco ne chiedeva l'annullamento, mentre Mosca aveva bisogno di soldi vivi e pertanto rifiutava alla Siria le forniture di armi e altre merci a credito.

Nel 2005 la questione del debito è stata risolta. La maggior parte (73 per cento) è stata effettivamente annullata, mentre circa un miliardo e mezzo è stato trasformato in investimenti diretti in progetti comuni. A seguito di ciò il giro commerciale e la collaborazione tecnico-militare hanno iniziato a crescere. In particolare la Siria ha investito 2 miliardi di dollari nell'ammodernamento delle proprie tecnologie militari risalenti all'epoca sovietica.

Questo, tuttavia, non significa affatto che Damasco si è trasformato nel docile esecutore delle volontà di Mosca in Medio Oriente. La Siria contemporanea non ha né le risorse militari, né quelle politiche per rivestire tale ruolo, non si tratta dell'Egitto di Gamal Nasser. Del resto neanche la Russia è sempre stata dalla parte di Assad, basti ricordare che la delegazione russa all'Onu votò a favore del ritiro delle truppe siriane dal Libano nel 2005.

“Mosca difende l'assassino”: ecco un altro dei miti che si trovano spesso nei media occidentali. Tuttavia non c'è stata finora una sola indagine obiettiva sui fatti siriani. Né la missione della Lega Araba, né i rappresentanti dell'Onu sono riusciti a trovare una prova definitiva della colpevolezza di Damasco. Il governo siriano ha reagito in modo eccessivamente duro, soprattutto nelle prime fasi della crisi, ma i suoi oppositori si sono rivelati ancora più privi di scrupoli riguardo ai mezzi da adottare.

Inoltre, secondo dati ufficiosi, fin dall'insorgere della crisi Mosca aveva tracciato una propria “linea rossa” per far capire ad Assad che non avrebbe sostenuto un regime che si fosse macchiato di crimini contro l'umanità. Non bisogna dimenticare che a Mosca non mancano i servizi di indagine incaricati di seguire la situazione in Siria e pertanto si può supporre che il presidente Putin abbia un'idea abbastanza chiara di ciò che realmente fa il suo collega siriano.

Dal punto di vista politico, l'attuale governo siriano rappresenta per la Russia il male minore. Effettivamente Assad e il suo governo sono tutt'altro che ideali. Sia il presidente Putin che diversi alti funzionari russi hanno parlato spesso e senza mezzi termini della necessità di riforme. Tuttavia a Mosca sono certi che la deposizione di Assad porterebbe il caos, inizialmente in Siria e poi in tutto il Medio Oriente.

Gli esempi non mancano. La guerra civile tra sunniti e sciiti si è infiammata in Iraq in seguito all'intervento americano. Anche la Libia, dopo l'allontanamento di Muammar Gheddafi dal potere, non ha più avuto una stabilità vera e propria. Il Paese si è trasformato in un conglomerato di tribù, ognuna con le proprie milizie armate, e nessuna delle quali tiene in particolare considerazione il debole governo centrale.

Le armi trafugate dai depositi dell'esercito libico si sono sparpagliate per tutta la regione e sono finite in mano agli estremisti. Lo stesso vale per i guerriglieri che dalla Libia si sono trasferiti in Siria, Mali, Yemen … Se la Siria resterà un Paese distrutto dalla guerra rischia di diventare un altro rifugio per al-Qaeda, eventualità che ha dato da pensare anche agli Usa, e la Russia si trova geograficamente molto più vicina.

I guerriglieri stranieri, giunti dal Medio Oriente, hanno combattuto attivamente contro l'esercito della Federazione nel Caucaso settentrionale e hanno preso parte a molti attentati terroristici. In Siria sta già combattendo più di un centinaio di ceceni, e non è difficile prevedere quale sarà la loro meta dopo la conclusione della guerra.

Infine, bisognerebbe considerare la situazione siriana da un'angolazione geopolitica più ampia. Fin dal 2003 la Russia è rimasta ad osservare come gli Usa e i loro alleati si sono intromessi negli affari del Medio Oriente, preparando incursioni militari, organizzando o alimentando rivoluzioni. A Mosca c'è la sensazione che l'Occidente non stia assolutamente preoccupandosi delle conseguenze e non si renda conto dei pericoli insiti in tale politica. Né in Iraq, né in Afghanistan, né in Libia si trova un po' di democrazia, però di vittime e instabilità ce ne sono in abbondanza.

Inoltre la crisi siriana è caratterizzata da un particolare che impedisce alla Russia di mettersi da parte. In Siria vivono circa 30mila cittadini russi (secondo alcune fonti sarebbero invece 100mila). Si tratta delle mogli di cittadini siriani e dei bambini nati da matrimoni misti. Se dovessero vincere le forze di opposizione tutte queste persone si troverebbero in pericolo di morte.

Vasilij Kuznetsov, docente delle facoltà di Politica mondiale presso l'Università Statale di Mosca (Mgu) Lomonosov, ha spiegato a Russia Oggi, che la Federazione non difende la Siria o il presidente Bashar al-Assad. “La Russia difende la filosofia consolidata delle relazioni internazionali, l'idea della sovranità nazionale. La Russia sta inoltre cercando di mantenere la stabilità del Medio Oriente, perché in caso contrario sarebbe la sua stessa sicurezza a trovarsi in pericolo. Stiamo parlando della diffusione dell'islamismo radicale nelle regioni meridionali della Federazione”, ha spiegato l'esperto.

Secondo la sua opinione c'è tutta una serie di fatti che indicano che in seguito al conflitto attuale l'equilibrio di tutta la regione verrà compromesso: “L'intervento straniero è possibile, ma l'esperienza di interventi similari in Iraq, Afghanistan e Libia è stata fallimentare. Tutti i possibili scenari di risoluzione della crisi con la forza escludono qualsiasi periodo di passaggio. Infine, l'opposizione siriana non è compatta e tra le sue file cresce l'influenza degli islamisti più radicali, legati ad al-Qaeda. La loro vittoria metterebbe in grave pericolo i cristiani siriani, gli ortodossi, i maroniti, gli alawiti, ma anche gli strati atei e liberali della società”.

Il professor Kuznetsov ha espresso molti dubbi riguardo alla teoria secondo la quale sarebbero gli interessi militari e economici a determinare la politica della Russia in Medio Oriente. “È stupido sostenere che Mosca stia difendendo i contratti in Siria. Sì, ci sono dei contratti, sia in ambito militare che civile, ma si possono stipulare dei nuovi contratti con un eventuale nuovo governo. Abbiamo l'esempio dell'Iraq, dove le imprese russe stanno recuperando attivamente le proprie posizioni. I due moli della base di Tartus non valgono sicuramente tutti gli sforzi che Mosca sta facendo per risolvere la crisi siriana. La Russia adesso non ha neanche uno squadrone dislocato nel Mediterraneo”, ha concluso l'esperto.

Marina Sapronova, docente presso l'Università Statale di Mosca per le relazioni internazionali (Mgimo), nel corso dell'intervista rilasciata a Russia Oggi, ha sottolineato che il Presidente Putin ha spiegato molto chiaramente le motivazioni della Russia: “Prima di tutto, la Russia difende le norme del diritto internazionale e si oppone alle ingerenze negli affari interni degli Stati sovrani. Mosca ritiene che sia doveroso attendere il responso degli esperti riguardo la presenza di armi chimiche e l'approvazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, prima di intraprendere una qualsiasi operazione militare contro la Siria”.

“È impossibile spiegare la presa di posizione russa con gli eventuali interessi militari o economici. Gli scambi commerciali con la Siria, per un valore di circa 2 miliardi di dollari all'anno, non hanno una grande importanza. L'economia russa è più orientata verso l'Europa e l'Asia che verso il Medio Oriente. In Siria la Russia non ha neanche particolari interessi militari. C'è un punto di rifornimento tecnico-materiale della marina militare russa a Tartus, ma dopo la fine della guerra fredda ha perso la sua rilevanza”, ha sottolineato la professoressa.

 

Per quanto riguarda l'esportazione di armi, la Sapronova ha ricordato che la Siria non è un grande acquirente della produzione dell'industria bellica russa. “L'India, la Cina o il Venezuela sono molto più importanti”, ha detto.

 

Quello che invece la Russia non può ignorare è che in Siria andranno a fare esperienza i guerriglieri islamisti che poi si faranno notare nei posti più disparati in tutto il mondo, tra cui il Caucaso settentrionale, la Cecenia, il Daghestan, e questo significherà una nuova ondata di terrorismo”, ha concluso la Sapronova.

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