All'interno di un pozzo di estrazione di petrolio.
: Getty ImagesI ministri dei Paesi membri dell’Opec, nel corso di un incontro informale svoltosi ad Algeri il 28 settembre, sono riusciti a raggiungere un accordo sulla limitazione della produzione di petrolio stabilendo un limite inferiore a 32,5 milioni di barili al giorno, vale a dire 1 milione di barili in meno rispetto agli indicatori di luglio-agosto.
Il ministro dell’Energia russo, Aleksandr Novak, il 29 settembre ha annunciato ai giornalisti che la Russia è pronta ad aderire ad azioni congiunte decise con i membri dell’Opec e gli altri Paesi produttori presenti nel mercato petrolifero. “Abbiamo sempre mantenuto una posizione molto flessibile al riguardo”, ha dichiarato Novak. A suo avviso, i Paesi produttori potrebbero introdurre limitazioni sulla produzione di petrolio orientativamente per un semestre, mese più, mese meno. L’accordo finale sul congelamento della produzione verrà siglato dai Paesi membri dell’Opec durante la seduta ufficiale prevista per il 30 novembre.
La Russia aveva già in precedenza lobbizzato questa decisione sul congelamento della produzione del petrolio e il 5 settembre, in Cina, durante i lavori del G20, era stata resa nota l’esistenza di un accordo raggiunto tra Russia e Arabia Saudita volto a sostenere la stabilità del mercato petrolifero e a garantire un solido livello di investimenti a lungo termine. La dichiarazione conseguente era stata siglata dal ministro dell’Energia della Federazione Russa, Aleksandr Novak, e dal ministro dell’Energia, dell’Industria e delle Risorse minerarie del regno dell’Arabia Saudita, Khalid al-Falih.
Subito dopo la decisione adottata sui prezzi petroliferi i prodotti del marchio Brent hanno avuto un’impennata del 6%, il che ha prodotto un rafforzamento delle valute dei Paesi produttori di petrolio, e in primo luogo del rublo, spiega Artem Kalinin, asset manager di Leon Family Office. Così il 29 settembre i mercati hanno reagito positivamente: il gruppo giapponese Nikkei ha registrato un incremento dell’1,4%, la società cinese Shanghai Composite dello 0,33%, mentre la russa Micex è cresciuta dell’1,2% e le azioni delle compagnie petrolifere hanno raggiunto un +4%, precisa Vitalij Bagamanov, direttore generale di “Bks Ultima”.
Secondo Artem Kalinin, la gran parte degli attori del mercato aveva già messo da un pezzo la croce sulla capacità dell’Opec di raggiungere se non altro degli accordi, perciò occorre tenere in debito conto l’importanza dell’evento. Ad avversare la decisione è stata soprattutto l’Arabia Saudita che alla fine è scesa a un compromesso, commenta Kalinin. Ma, a detta di Valerij Nesterov, analista di “Sberbank Cib”, tale risultato non va accolto con troppo entusiasmo: l’aumento dei prezzi durerà solo per un breve periodo. A suo avviso, Canada, Norvegia, Stati Uniti, Brasile e Messico difficilmente appoggeranno la decisione dell’Opec.
Gli effetti provocati dal “congelamento dell’Opec” potrebbero livellare l’incremento dei volumi produttivi in altri Paesi. Una serie di Paesi che non aderiscono all’Opec continuano a conseguire nuovi record nei volumi produttivi e nel 2017 in Kazakhstan, a Kashaghan, potrebbe essere attivato il più grande giacimento di shale gas del mondo, puntualizza Kalinin.
La decisione dell’Opec rischia di determinare un’“altalena” dei prezzi di mercato. Potrebbe verificarsi una continua alternanza di tariffe petrolifere alte e basse e questa situazione potrebbe protrarsi per alcuni anni, sostiene Nesterov.
A rivestire un ruolo decisivo sono oggi i produttori di shale gas degli Stati Uniti che negli ultimi tre anni sono riusciti a ottenere una diminuzione dei costi medi di produzione pari a una volta e mezza o due. “Come effetto ogni aumento superiore ai 50 dollari al barile produrrà negli Stati Uniti un incremento del numero di piattaforme di perforazione e un ulteriore aumento della produzione di shale gas con una conseguente nuova caduta dei prezzi”, spiega Nesterov.
Non conviene aspettarsi alcun cambiamento radicale nel mercato petrolifero, e neppure una consistente riduzione dei volumi produttivi, commenta Artem Kalinin.
“L’aumento della domanda di petrolio è stato determinato dalla diminuzione delle tariffe e a nostro avviso questa domanda continuerà, seppure in modo contenuto, a crescere, alimentata dalla Cina e dai mercati emergenti, con un andamento relativamente stagnante per Stati Uniti ed Europa”, spiega Wiktor Bielski, manager responsabile per la ricerca di materie prime di Vtb Capital.
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