Alla ricerca dell'energia perduta

Il blocco di South Stream potrebbe avere ricadute pesanti sugli approvvigionamenti europei di gas (Foto: Getty Images)

Il blocco di South Stream potrebbe avere ricadute pesanti sugli approvvigionamenti europei di gas (Foto: Getty Images)

Tra Europa e Asia. Dopo il blocco di South Stream quali sono i nuovi scenari della politica energetica delle parti in campo?

Il gasdotto South Stream, ideato per collegare la Russia all’Europa Occidentale (Italia compresa), non si farà. La decisione, che arriva dopo mesi di attriti tra i Paesi interessati, resi più aspri dalle vicende ucraine, potrebbe avere ricadute pesanti sugli approvvigionamenti europei di gas, imponendo la ricerca di alternative. Che tuttavia non saranno a buon mercato, né tali da assicurare la stabilità dei flussi, a fronte delle frequenti tensioni geopolitiche che caratterizzano i potenziali fornitori.

 
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Vladimir Putin ha annunciato nei giorni scorsi lo stop alla costruzione dell’impianto, motivandolo con questi termini: "Non possiamo iniziare i lavori della tratta marina finché non abbiamo il permesso della Bulgaria. Avviare il cantiere in mare, arrivare fino alla riva bulgara per poi fermarsi, è ridicolo", ha dichiarato il Presidente russo nel corso di una conferenza stampa organizzata durante la sua visita in Turchia. Quindi ha aggiunte che le risorse russe previste per questo progetto verranno indirizzate su altri mercati, in particolare nelle iniziative di liquefazione del gas naturale. Stando alle valutazioni di Putin, a causa del blocco del progetto, la Bulgaria perderà non meno di 400 milioni di euro all’anno in quote di transito. Ma le perdite di Gazprom sono più ingenti: negli ultimi tre anni, la compagnia aveva investito nel progetto 4,66 miliardi di dollari.

Le caratteristiche del progetto

La notizia ha spazzato via sette anni di lavori, iniziati con la firma di un memorandum tra la compagnia del gas russa e l’italiana Eni, al quale hanno fatto seguito altri accordi di dettaglio. Il tracciato prevedeva un tratto sottomarino di 930 chilometri attraverso il Mar Nero (in acque russe, bulgare e turche) e uno su terra (con attraversamento di Bulgaria, Serbia, Ungheria e Slovenia, fino all’Italia).

Le cause principali

Secondo stime, le compagnie europee interessate al progetto (l’italiana Eni, la francese Ef e la tedesca Wintershall) pagheranno lo stop al gasdotto con perdite complessive non inferiori ai 2,5 miliardi di euro. "L’attuale interruzione dei lavori non suscita particolare stupore, dato che già da tempo la parte bulgara parlava di vietare la posa dei tubi sul proprio territorio. In nessun modo ci è riuscito di persuadere i nostri partner", spiega il professore di Regolamentazione statale dell’economia all’Università Ranchis, Ivan Kapitonov. Nell’agosto scorso il ministero dell’Economia e dell’Energia bulgaro ha sospeso la costruzione, sostenendo la non conformità alle norme contenute all’interno del terzo pacchetto energetico dell’Ue.

In accordo con tali regole infatti, in territorio europeo i proprietari del gasdotto non possono essere le compagnie che forniscono il gas. Una posizione che ha quindi chiamato in causa il ruolo della russa Gazprom.  In aggiunta, secondo Ivan Kapitonov, nel mese di ottobre si è venuti a conoscenza di un sostanziale aumento dei costi del progetto, e ciò non poteva non influire sulla decisione presa. La somma necessaria per realizzare il tratto sottomarino di South Stream è cresciuto da 10 a 14 miliardi di euro, mentre per la tratta terrestre le stime sono lievitate da 6,6 a 9,5 miliardi di euro. Infine, il costo complessivo del progetto è risultato comparabile all’intero margine operativo lordo di Gazprom per il 2013, vale a dire a 55 miliardi di dollari, corrispondenti a poco più di 44 milioni di euro.

Quanto alla compagnia russa, la sensazione è che l'impatto dello stop sui suoi conti non sarà decisivo, soprattutto se le risorse verranno impiegate altrove. Tanto che, subito dopo l'annuncio, il titolo azionario ha registrato uno scatto in avanti. Per Andrei Dirigin, direttore del dipartimento di analitica Alfa-Forez, è evidente che gli investitori approvano la scelta.

Il numero uno di Gazprom, Aleksei Miller, ha fatto sapere di guardare con molto interesse alle possibilità di creare nuovi impianti verso la Turchia. Il progetto non nasce oggi, ma promette di ricevere una spinta decisiva dallo stop di South Stream. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Miller, è stato messo a punto il piano di un gasdotto con una capacità di 63 miliardi di metri cubi di gas all'anno, dei quali solo14 miliardi destinati alla Turchia, mentre il resto verrà spedito al confine fra Turchia e Grecia, vale a dire nell'Unione Europea. "In questo caso la Russia otterrebbe lo stesso effetto previsto per South Stream: diversificherebbe le forniture e aggirerebbe i territori dei paesi di transito meno affidabili", fa notare Ivan Kapitonov. Secondo le sue parole, per l'Unione europea la scelta di transito attraverso la Turchia potrebbe sembrare inaspettata, dal momento che nell'Ue non si supponeva neppure che si sarebbero potute individuare soluzioni alternative per un simile progetto, specialmente per quanto riguarda la posa dei tubi sul territorio di un paese fuori dal blocco. In tal caso però la Russia si troverebbe a dipendere dalla Turchia (in quanto paese di transito, ma qui si è trattato di un compromesso obbligato, come dice Kapitonov.

Verso nuove rotte?

Nondimeno, secondo le parole dell'esperto capo di Finam Management, Dmitri Baranov, South Stream potrebbe ancora essere ripreso nella sua forma originale, se cambiasse la posizione europea. "La Russia osserverebbe severamente tutti le norme in vigore sulle forniture di gas nell'Ue", sostiene. Secondo l'opinione di Baranov, la Russia non rinuncerebbe alla diversificazione delle forniture di gas e sarebbe pronta a inviare approvvigionamenti a qualsiasi stato praticamente, dato che dispone di riserve sufficienti. "L'orientamento occidentale e orientale delle forniture si mantiene, e presto potrebbero svilupparsi nuove rotte verso l'India".

Quanto all'Europa, l'attenzione ora si sposta soprattutto verso la sponda Sud del Mediterraneo. Il premier italiano Matteo Renzi ha commentato lo stop a South Strem, ricordando che vi sono rotte di rifornimento alternative, a cominciare dall'Algeria e la Libia. Già da diverso tempo l'Italia guardava verso Sud per diversificare gli approvvigionamenti, e questo processo è destinato ora a conoscere un'accelerazione. Anche se il passaggio di testimone sarà tutt'altro che automatico, considerato che occorrerà fare i conti con costi elevati e questioni di stabilità geopolitica non propriamente secondari.

L'articolo è stato pubblicato nel numero cartaceo di Rbth dell'11 dicembre 2014

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