Slitta trainata dalle renne nel centro della città di Norilsk per la giornata conclusiva del festival Big Argish. Fonte: ufficio stampa
Il termometro nella piazza principale segna 19 gradi sotto zero. E nella fioca luce che caratterizza la notte polare la gente scende in strada, si affolla sotto il palco e attorno alle mya, le tipiche tende coniche dei popoli nomadi della Russia del nord. L’atmosfera è quella delle grandi occasioni e per le vie si respira aria di festa: oggi termina il Big Argish, il grande festival del patrimonio etnico che ormai da cinque anni si svolge a Norilsk per tutto il mese di novembre.
Situtata oltre il Circolo polare artico, a quattro ore di volo da Mosca, Norilsk è una città estrema: costruita sopra uno strato di permafrost in una delle zone più fredde e a nord del pianeta, è caratterizzata da un rigido inverno che dura nove mesi ed è considerata una delle città più inquinate al mondo per via dei colossi industriali che estraggono e lavorano metalli. Quando si alza il vento, la temperatura può raggiungere i 50 gradi sotto zero e nell’arco di un anno cadono circa 11 tonnellate di neve.
Norilsk è una città industriale di 170.000 abitanti situata oltre il Circolo Polare Artico. La sua storia è strettamente legata al dramma delle deportazioni staliniane: dal 1935 al 1965 ha ospitato uno dei più grandi gulag del Paese. Oggi continua a essere una città chiusa: l’accesso agli stranieri non è consentito se non attraverso un permesso speciale. Grazie alla ricchezza del sottosuolo, nella zona si è sviluppato un grande complesso industriale che estrae e lavora metalli
La piazza della città affollata di gente in occasione della giornata conclusiva del festival. Fonte: ufficio stampa
“Ma oggi si sta bene. Non fa molto freddo”, commenta Irina, in fila con la figlia di cinque anni davanti a un finto carro armato convertito per l’occasione in una gigantesca stufa ambulante: qui due uomini imbacuccati dentro enormi tute da sci color verde militare servono piatti di grechka e tè caldo. La gente di Norilsk è abituata a un clima ben più rigido. “Ieri eravamo a -30 gradi. Ma oggi per fortuna non c’è vento”, spiega Irina, accorsa per assistere alle celebrazioni del festival. Sul palco si alternano attori vestiti da sciamani che improvvisano danze e rituali. Davanti al museo locale alcune bancarelle vendono salame di renna e pesce essiccato, mentre a pochi metri da lì i bambini scalpitano per fare un giro sulle slitte trainate dalle renne. “Per le popolazioni indigene dell’estremo nord le renne sono fonte indispensabile di vita – racconta Tatyana Egorova dell’ufficio comunicazione dell azienda Norilsk Nickel, partner dell’evento -. Sono fondamentali per scaldarsi, vestirsi, mangiare e spostarsi. Con la loro pelliccia si realizzano calde pellicce e la loro carne è alla base di molti piatti”.
Due uomini distribuiscono piatti di grechka contenuti all’interno di un finto carro armato trasformato in una gigante stufa. Fonte: ufficio stampa
Sono cinque le popolazioni indigene che ancora oggi abitano il Taimyr, la penisola nel nord della Siberia, nel Kraj di Krasnoyarsk, che si protende nel Mar Glaciale Artico, dove si trova Norilsk: i nenets, i dolgan, i nganasan, gli evenk e gli enets. E una delle poche parole che accomuna le loro lingue è proprio “Argish”, da cui prende nome il festival. Argish rappresenta la filosofia e lo stile di vita degli uomini che abitano l’estremo nord, la loro concezione del mondo e l’ordine sociale. E in questo territorio sconfinato dove la vegetazione della tundra si perde a vista d’occhio, le popolazioni indigene continuano a difendere le proprie usanze e tradizioni, basate sulla caccia e sulla pesca. Il folklore locale, impreziosito da leggende, miti e racconti, affonda le proprie radici nel secolare rapporto tra l’uomo e la natura. E la vita qui si sottomette con rispetto ai ritmi delle stagioni. Il patrimonio di queste popolazioni è protetto da alcune leggi della Federazione Russa e del Territorio di Krasnoyarsk, e il festival Big Argish di Norilsk cerca di rendere omaggio allo spirito e alle usanze di questi popoli.
Fonte: Lyudmila Petukhova/Rbth
Così per venti giorni, a novembre, la notte polare di Norilsk si accende con incontri letterari, mostre fotografiche, concerti, spettacoli ed esposizioni, fino all’evento conclusivo della manifestazione che si svolge nella piazza della città, dove per l’occasione viene allestito un villaggio etnico con tende da campo in pelliccia di renna. Da lontano risuona l’eco dei tamburi. E grandi nuvole di vapore si alzano dal carro armato-stufa, dove la fila di gente si è fatta più corta. Ormai sono le quattro del pomeriggio e su Norilsk è calato nuovamente un profondo buio. Ma la gente del posto è abituata al freddo e all’oscurità e la piazza continua a essere affollata.
“Alla notte polare ci si abitua facilmente, fa parte del nostro ritmo di vita”, racconta Andrej, spingendo un passeggino-slitta. Qui le carrozzine per bambini non hanno le ruote, ma dei pattini per scivolare più facilmente sulla neve. Come la maggior parte dei suoi concittadini, anche Andrej lavora all’interno della Norilsk Nickel, la compagnia mineraria che sfrutta l’enorme deposito di elementi chimici del sottosuolo (circa il 50% di tutte le riserve russe di nickel, rame, platino e cobalto sono concentrate nella penisola del Taimyr).
Giovani visitatori del festival. Fonte: ufficio stampa
“In questa città ci sono nato e qui ho la mia famiglia. Non è vero che si vive male. Certo, l’inverno è rigido, ma a me piace: qui si respira il vero inverno russo. Non escludo che fra qualche anno compreremo una casa al sud, per trasferirci quando andremo in piensione: per gli anziani è molto difficile vivere in questa città. Ma per il momento non ho alcuna intenzione di andarmene”.
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