L'ora del tramonto.
Lori/Legion MediaIl poeta russo Aleksandr Pushkin giunse nella tenuta famigliare di Boldino il 3 settembre 1830, e a causa del divampare di un’epidemia di colera, riuscì a far ritorno a Mosca solo in dicembre.
Nell’arco di quei tre mesi Pushkin compose delle opere senza le quali la letteratura russa sarebbe del tutto inimmaginabile: portò a termine il suo romanzo in versi Evgeny Onegin, che si è soliti definire un’“enciclopedia della vita russa”; scrisse le piccole tragedie Il cavaliere avaro, Mozart e Salieri, Il festino durante la peste e Il convitato di pietra.
Si dedicò alla stesura dei Racconti di Belkin. “Ho scritto cinque racconti in prosa che hanno fatto diventar matto Baratynsky”, scriveva Pushkin in una lettera a Pletnev, il suo editore.
Scrisse anche una trentina di liriche e una novella in versi dal titolo Una casetta a Kolomna.
Questo periodo straordinario della sua attività creativa è noto come l’“autunno di Boldino”. Tre anni più tardi volle rivivere un secondo “autunno di Boldino” e dalla sua penna uscirono Il cavaliere di bronzo, le fiabe La zarevna morta e i sette eroi e Il pesciolino d’oro e La dama di picche.
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Mesta stagione…
L’autunno è sempre stato per Pushkin il periodo più fecondo della produzione creativa. Per uno come lui con l’argento vivo addosso il maltempo, la fanghiglia, le brevi giornate autunnali e quelle caratteristiche che di solito non fanno amare l’autunno diventavano una sorta di barriera naturale che gli consentiva di concentrarsi su ciò che per il poeta era essenziale, la creazione.
Nella solitudine della campagna nessuno era d’intralcio alla sua scrittura: “Immagina: intorno solo la steppa, e neppure un vicino; puoi cavalcare quanto ne hai voglia e scrivere a casa tutto ciò che ti viene in mente, non c’è nessuno a disturbarti. Sto scrivendo di tutto per te, sia prosa sia versi”, annotava il poeta in una lettera al suo editore.
Dal primo periodo di confino in un’altra tenuta famigliare, quella di Mikhaylovskoe, nel 1824, per i suoi versi inneggianti alla libertà Pushkin ogni anno a fine autunno cercava di isolarsi per scrivere. E più il tempo peggiorava dietro le finestre, più la condizione del poeta migliorava.
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… o incanto degli occhi?
Nel settimo capitolo dell’Onegin e nella lirica Autunno Pushkin ci restituisce una descrizione puntuale dell’autunno russo: dai primi di ottobre quando “il boschetto già si scrolla le ultime foglie dai nudi rami” e si può contemplare lo “sfarzoso sfiorire della natura,/ quei boschi ammantati di porpora e oro”, fino a novembre quando “il giorno s’accorcia,/ E dei boschi l’arcano rifugio / con suono triste si spoglia” e ormai si avvicina “L’alquanto mesta stagione…”
Nella lirica Autunno definisce quel periodo dell’anno malgrado una “stagione mesta e uggiosa”. In quegli stessi versi troviamo la chiave per comprendere il vero rapporto del poeta con l’autunno. Dopo aver descritto la natura, Pushkin passa a descrivere il suo stato d’animo. L’autunno obbliga il poeta a scordare ogni cosa e a concentrarsi solo sulla sua immaginazione: “e i pensieri si agitano liberi nella mente / E rime lievi corrono loro incontro, / E le dita cercano la penna, e la penna la carta”.
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