Le interviste impossibili di Curzia Ferrari

Anna Achmatova

Anna Achmatova

Nathan Altman
Un libro intimo e immaginario. Che racchiude colloqui confidenziali con tre importanti volti femminili della letteratura russa: Marina Cvetaeva, Anna Achmàtova e Mat’ Marija Skobzova. "Interpellati" dall'autrice in un'opera dove si fondono biografia, poesia e immaginazione

Si ascolterebbe parlare per ore Curzia Ferrari: l’aspetto di altera eleganza, si rivela donna di empatica sensibilità, con un vissuto avventuroso e appassionante. Idealmente vicino alle tre poetesse russe alle quali ha dedicato il suo nuovo libro: Voglio uno specchio! Interviste impossibili con Marina Cvetaeva, Anna Achmàtova e Mat’ Marija Skobzova (Corsiero editore, 2015). La prosa ricercata e limpida, il volumetto rispecchia il poliedrico talento della scrittrice milanese: autrice di un vasto catalogo di titoli (innumerevoli quelli dedicati alla cultura russa), giornalista di razza inviata in Unione Sovietica, traduttrice per passione di grandi autori russi, senza mai dimenticare la vocazione di poetessa sbocciata in gioventù.

La copertina del libro. Fonte: ufficio stampa

“Come mi è venuta l’idea? Me ne vengono tante di idee…” esordisce con leggerezza parlando dell’opera alla quale ha dedicato gli ultimi cinque anni. “Quelli di Marina, Anna, Mat’ Marija sono tre volti femminili della tragicità della condizione umana. Attraverso queste interviste immaginarie ho trovato anche schegge di me, donna in cerca se stessa. Ho guardato loro in me e me dentro di loro, mentre quattro donne si parlano, a lampo di specchio. Da scrittrice ho cercato di rispettarle come personaggi storici pur interpretandone la psicologia e se mi sono permessa qualche divagazione è pertinente.”

Non tutte immaginarie però sono le interviste: Curzia Ferrari incontrò davvero Anna Achmàtova, in Sicilia per ritirare un premio a metà degli anni Sessanta. L’allora giovane giornalista la ricorda vividamente, con la sua bellezza aguzza ormai sfiorita e una povera borsa di tela al braccio, le collane di pietre caucasiche come vezzi residui di una femminilità che ammaliò tanti. “In lei, definita con enfasi “Anna di tutte le Russie” c’era l’ostinazione di primeggiare, la coscienza del proprio valore, il culto di sé anche in vecchiaia, con un’infinità di seguaci che si dicono suoi “orfani”” spiega la scrittrice, che conosce la poetessa così intimamente anche per averla tradotta.

Curzia Ferrari. Foto: Piero Lotito

“Molte volte ho pensato di scrivere una biografa di Marina Cvetaeva, per un’istitiva propensione per lei, per quella sua sete di vivere da rimanerne bruciata” continua l’autrice. “Inciampavo continuamente in Marina, che restava sempre in un angolo della mia mente. Ma c’erano troppi scritti, pochi inediti e così ho dovuto accantonare l’idea, fino a questo libro. È lei quella che tra le tre poetesse sento più vicina, quasi sorella. Con Marina la tragedia è sulla porta, anzi è lei la tragedia, con il suo annullarsi per i drammi familiari, fino ad esaurirsi e morire suicida.”

Infine Mat’ Marija Skobzova, ricordata con il nome di “Madre” perché santificata dalla chiesa ortodossa. L’autrice confessa che le è stato difficile “conciliare la bella giovane piena di desiderio e di ardori con l’eroina del martirio cristiano che diventò, con la sua gioia di aver scoperto in Dio l’amante perfetto, sostegno nella barbarie ultima della morte in un lager”.

Un libro intimo con quel suo rivolgersi alle tre poetesse confidenzialmente, prezioso per le notizie biografiche che ci regala, poetico per le poesie di ognuna scelte con grazia. Un libro colmo di quell’amore per la madre Russia che accompagna Curzia Ferrari sin da quando, bambina durante la guerra, ne scoprì la cultura grazie a un soldato russo in clandestinità, che suonava una piccola fisarmonica e indossava un paio di valenki. 

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