Jacopo Mandich
Ufficio StampaCi sono fabbriche enormi, negli Urali. Fabbriche talmente grandi che sembrano città. Così imponenti “che fanno venire la pelle d’oca” a chi, come lui, il ferro è abituato a domarlo, forgiarlo, a dargli forma fino a trasformarlo da semplice massa fredda in pezzo d’arte da esposizione. “Qui negli Urali ho visto lavorare il ferro, costruire motori, dare corpo alla porcellana. L’impressione che ne ho tratto è quella di una grande nazione industriale. Che non si ferma”. Jacopo Mandich, 36 anni di Roma, è l’unico artista italiano selezionato per esporre alla Terza Biennale industriale degli Urali di arte contemporanea di Ekaterinburg. La sua scultura “Pelle di corpo celeste”, inaugurata il 16 settembre 2015, resterà esposta nella città di Satka (nell'Oblast di Chelyabinsk) fino al 10 novembre.
“Per la realizzazione di quest’opera mi sono ispirato a uno dei tanti complessi industriali che ci hanno fatto visitare”, racconta Mandich, impegnato, insieme a molti altri artisti russi e stranieri, a “rivalorizzare” l’assetto industriale di questo territorio, “la cui popolazione - spiega Mandich - inizia a essere stanca di tutto questo grigio, della magnesite presente in ogni angolo. Abbiamo incontrato gli abitanti del luogo per capire il loro umore e i loro desideri. E ne è nata una scultura che è un po’ un’installazione partecipativa: un corpo celeste, metafora dell'esplosione di un'emozione, di un'idea che si espande e contrae”. L’installazione, posizionata nel parco di Satka, è formata da blocchi di magnesite e dalamite, sospesi all'interno di un cerchio metallico di due metri, a simboleggiare il ciclo di creazione e distruzione, da un cannone alla distanza di quattro metri e da un missile metallico.
L'installazione "Pelle di corpo celeste" di Jacopo Mandich (Foto: Ufficio Stampa)
I visitatori, come spesso accade con le opere di Mandich, diventano in questo caso parte attiva del lavoro, dovendo sparare colore dal cannone per colpire la struttura circolare.
L’installazione, dall’intensa valenza simbolica, “riprende materie e forme arcaiche come la pietra e la ruota, e lancia un messaggio di attualità contro i conflitti”.
Oltre alla scultura realizzata per la Biennale, durante le settimane di lavoro negli Urali Mandich ha realizzato altre tre opere, che verranno donate alla città di Satka e alla fabbrica locale.
“Era la prima volta che visitavo questi territori - racconta Mandich -, e ne sono stato profondamente colpito. È stata un’esperienza importante, molto suggestiva, poiché ci hanno fatto visitare diverse fabbriche della zona per poter capire e conoscere al meglio questa realtà”. Positiva anche l’organizzazione della Biennale: “I rapporti con gli organizzatori sono stati ottimi - dice -. Ovviamente c’erano tanti artisti da gestire, ognuno con le proprie esigenze, quindi l’organizzazione ha avuto le sue complessità. Ma ho visto molto impegno e grandi risultati”.
Qui negli Urali ho visto lavorare il ferro, costruire motori, dare corpo alla porcellana. L’impressione che ne ho tratto è quella di una grande nazione industriale. Che non si ferma
Dopo essersi diplomato al liceo artistico e in scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, Jacopo Mandich ha vinto l‘edizione 2005 del concorso dedicato allo scultore Edgardo Manucci ad Arcevia, realizzando nel 2006 una mostra personale al museo Manucci di Arcevia curata da G. Risidori e poi portata anche a Milano. Nel 2005 ha partecipato all’esposizione collettiva internazionale l'età nomade presso gli spazi dell’Accademia di Belle Arti al mattatoio di Testaccio a Roma curata da G. dalla Chiesa. Negli anni successivi ha lavorato per la scultrice G. de Santis, intensificando il lavoro nel suo studio, inaugurato nel 2003 a Roma. Mandich vanta già diverse esposizioni e le sue opere si possono trovare al M.A.A.M di Roma e presso alcuni collezionisti.
Tutti i diritti riservati da Rossiyskaya Gazeta
Iscriviti
alla nostra newsletter!
Ricevi il meglio delle nostre storie ogni settimana direttamente sulla tua email