Sergei Dovlatov (Foto d’archivio)
Spesso accade che la letteratura si intrecci alla vita. Divenendone un tutt’uno. Ciò avviene anche nei libri di Sergei Dovlatov, dove l’azione molte volte si svolge negli stessi luoghi in cui lo scrittore ha vissuto. Da Pietroburgo allo sperduto villaggio nella Repubblica dei Komi. Da Vienna, New York e Tallinn, fino alle Colline di Pushkin. Rbth vi propone un viaggio attraverso i posti a cui Dovlatov era più legato.
Via Rubinstein, 23
Dovlatov non nacque a Leningrado, come comunemente si crede, bensì a Ufa. All'inizio della guerra la sua famiglia venne evacuata. E fu solo dopo la fine dell'assedio, nel 1944, che fecero ritorno a Leningrado. Vissero in centro città in via Rubinstein, la via che inizia a Pjat' uglov (Cinque angoli, mentre il nome non ufficiale, ma reso noto dal folclore cittadino era Perekrestok, Incrocio).
Ci sono molte case su questa via in stile tardo moderno o del primo costruttivismo. Su una parete della casa in via Rubinstein, 23 c'è una targa commemorativa. A fianco, c'è la fermata della stazione della metropolitana “Dostoevskaja“.
Chinyavorisk, Ukhta
Nel 1962 Dovlatov ricevette la chiamata dall'esercito. Servì in qualità di sorvegliante in un campo a regime severo nel nord della Repubblica di Komi. Di questo periodo, ne scrisse nella povest’ “Zona” e nel racconto “Staryj petukh, zapechennyj v gline” (Il vecchio gallo cotto nell’argilla), protagonista del quale è un ex-detenuto che Dovlatov incontrò a New York. Quest’ultimo, come Dovlatov, emigrò negli Stati Uniti dove fu preso per il furto di una pelliccia. E a un certo punto accadde che il suo ex-sorvegliante pagò la cauzione per lui alla stazione di polizia. Dopo questo avvenimento, i due ricordano come durante i lavori al cantiere, nel lager, avevano catturato un gallo, lo avevano spalmato di argilla e lo avevano cotto (nei lager sovietici difficile era trovare pasti soddisfacenti).
Nella strada dove il rock incontra la letteratura |
Raggiungere Chinyavorisk è estremamente arduo, la minuscola località abitata è dispersa nel fitto della taiga, presso le sorgenti del fiume Ukhta. Se volete tentare la sorte, prendete il treno Mosca-Vorkuta. Da Vorkuta poi è meglio proseguire in taxi (il costo della corsa è di circa 500 rubli). Ancora oggi, a Chinyavorisk si trova una colonia a stretto regime di sorveglianza e un cantiere dove viene tagliata la legna.
Vabriku, 41 e via Pikk, 40, Tallinn
La redazione del giornale Sovetskaja Estonija nella quale lavorò Dovlatov, dal suo arrivo a Tallinn nel 1972 si trova in via Pikk, una delle più lunghe vie della città, situata nella parte storica. Letteralmente a due passi si trovano la famosa torre di Margherita la Grassa, le Grandi porte marine, il museo storico estone, gli edifici in stile art nouveau e numerosi altri monumenti storici.
In epoca sovietica qui si trovavano le unità del KGB e la torre della chiesa di Sant’Olav, sfruttata per soffocare i segnali della televisione finlandese.
Dovlatov viveva non distante dal centro, sulla via Vabriku. Sul muro di questa casa, nel 2003 misero una targa commemorativa in russo e in estone. Volendo, ci si può fermare a pernottare in questa via, ove si trovano più di 5 alberghi e ostelli. La prenotazione è possibile effettuarla anche all’indirizzo Booking.com.
Sul periodo di Tallinn, Dovlatov scrisse la povest’ “Kompromiss”, una raccolta di aneddoti divertenti su stravaganti personaggi da bohéme, giornalisti, dissidenti e fuori di testa. In un primo momento, Dovlatov parve avere intrapreso una splendida carriera giornalistica a Tallinn: una delle case editrici repubblicane si preparava addirittura a stampare un libro dei suoi racconti. Ma la sua strada professionale s’interruppe. Lo stesso Dovlatov dava spiegazione di ciò nel suo “Kompromiss” con il fatto che in seguito ai discorsi dei nazionalisti estoni, nella Repubblica avevano cominciato a far forti pressioni. La sua raccolta di libri venne dispersa e Dovlatov fece così ritorno a Leningrado.
Villaggio Berezino
Nel 1976 Dovlatov andò a lavorare come guida turistica al museo-sacrario Pushkin, “Michailovskoe“ (Pushkinskie gory), nella regione di Pskov. Il museo è situato sul luogo della tenuta dei Pushkin. Lo stesso Dovlatov viveva vicino al villaggio di Berezino. Ora, nella casa dove abitava, è stato aperto un museo privato. La visita di quest’ultimo fa parte integrante dell’escursione per il museo-sacrario.
Raggiungere il museo è facile. Non bisogna far altro che arrivare in treno a Pskov e da lì prendere uno degli autobus (di solito ce n’è uno ogni ora). Gli orari possono essere consultati a questo indirizzo: www.pskovavtotrans.ru. Se non conoscete il russo, è opportuno prenotare un tour pronto.
Nel racconto “Zapovednik” (Sacrario), Dovlatov descrive di quella gioiosa follia che coltivava il personale del museo. Tutti i possibili filologhi-pushkinisti vi arrivavano per lavoretti stagionali. Fra loro vi erano donne che sognavano di sposarsi e uomini che sognavano di guadagnare qualche rublo per smaltire la sbronza.
Il soggiorno di Dovlatov in questi luoghi è paragonabile al purgatorio, sua moglie e sua figlia emigrano all’estero, su di lui per poco non appiccicano l’etichetta di traditore della patria. In questo “purgatorio” gli spetta di compiere la non facile scelta di scegliere tra il paradiso e l’inferno: restare in Unione Sovietica o emigrare. E nella spassosa rievocazione di Dovlatov non è chiaro che cosa sia paadiso e che cosa inferno.
Dovlatov descrive come un maggiore del KGB si fosse recato apposta in quei luoghi per condurre con lui una conversazione rieducativa e di come avesse, a questo scopo, atteso alcuni giorni prima che il protagonista del libro (alter ego dell’autore) uscisse dalla sbornia. Finalmente il maggiore s’incontra con lo scrittore e lo spaventa a lungo per poi concludere con il suggerimento sussurrato nell’orecchio di emigrare “finché le autorità lo permettono”.
Albergo “Admiral” a Vienna
Nel 1978 Dovlatov lasciò l’Unione Sovietica per sempre. Il tragitto degli emigrati sovietici passava per Vienna. Da lì, dopo un paio di settimane, vennero rindirizzati a Israele. Coloro che non volevano andare a Israele, ma si preparavano invece a sbarcare negli Stati Uniti, si riunivano in Italia dove, alla periferia di Roma, restavano per alcuni mesi ad aspettare i permessi da parte delle autorità americane. A Dovlatov riuscì di restare a Vienna, dove attese per ben sei mesi l’autorizzazione all’ingresso negli Stati Uniti.
Nelle lettere da Vienna, Dovlatov metteva a confronto la città con uno dei quartieri di San Pietroburgo, “da qualche parte tra la Fontanka e Sadovaja”. L’albergo “Admiral” , dove lo scrittore visse per alcuni mesi, si trova nel centro storico di Vienna, sula via Karl Schweighofer-Gasse 7. L’albergo “Admiral” funziona tutt’oggi.
Proprio lì a Vienna, Dovlatov cominciò a riconsiderare la propria arte, trovò il suo stile e prese così a rielaborare vecchi manoscritti. Fu proprio a Vienna pertanto, che nacque lo scrittore che noi conosciamo.
Nelle lettere ai familiari da Vienna si avvertono nervosismo e smarrimento alla vigilia della partenza per gli ignoti Stati Uniti. Più tardi, nel racconto “Nashi“ (I nostri), Dovlatov riscrisse in forma ironica della sua esperienza viennese. E così ad esempio, in una delle vicende racconta di come avesse bevuto insieme al proprietario dell’albergo “Admiral”. Prima di bere, il padrone dell’hotel si prese briga di misurare i pavimenti, valutando quanto sarebbe costato un nuovo linoleum. Dopo ch’ebbero bevuto per bene, il pedante austriaco ci ripensò: “Non cambierò il linoleum – disse -, ci ho ripensato, perché il mondo è ormai condannato”. In questo c’è tutto Dovlatov, nei suoi testi perennemente egli cambia i segnali, lo humour e l’assurdo sono sostituiti dalla tristezza, l’ansia e la tristezza vengono avvolti da ironia e humour.
63rd Drive e 108th street
63rd Drive si trova a Queens, uno dei cinque quartieri di New York. Per arrivarci, è sufficiente raggiungere la stazione della metropolitana “63 Drive – Rego Park”. La via inizia proprio dall’uscita della metropolitana e si estende verso nord.
I diari di Tolstoj disponibili on line
Storicamente avvenne che gli emigrati russi della “terza ondata” si stabilissero a Brooklyn, nel quartiere Brighton, oppure a Queens, a Forest Hills. A Brighton ci risiedevano principalmente gli ebrei ucraini provenienti da Odessa, Kiev e altri luoghi, mentre a Queens ci venivano gli ebrei provenienti dalla Russia, da Mosca, Pietroburgo, oltre agli intellettuali vicini a Dovlatov. L’appartamentino che avevano preso in affitto i Dovlatov era molto stretto, in un primo momento i mobili li dovettero recuperare dalla discarica. Questa fu del resto esperienza comune a tutti gli emigrati.
Nel racconto “Inostranka” Dovlatov descrive gli abitanti russi del suo quartiere. Gli emigranti si videro costretti a cambiar professione: un ex-regista di eventi di massa era divenuto predicatore battista, gli ex-dissidenti lavoravano come tassisti.
Sempre a Queens, non lontano dal luogo dove visse, Dovlatov venne sepolto nel 1990, nel cimitero ebreo di Mount Hebron (#7 treno per Main Street. Cambio con il bus Q58 diretto all’entrata principale del cimitero -College Point Blvd- oppure cambio con il bus Q-44 fino a Main St.).
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