Il coraggio delle donne nell'inferno del Gulag

Storie di donne nei gulag di Stalin (Foto: gulagmuseum.org)

Storie di donne nei gulag di Stalin (Foto: gulagmuseum.org)

Sono molte le testimonianze delle donne che hanno vissuto nei campi di lavoro. Tra sofferenze, atrocità e piccoli sprazzi di speranza

In generale, le memorie delle detenute donne sono meno conosciute, ma offrono al lettore una visione nuova e indimenticabile su un periodo storico terribile. I racconti di vita nei campi di lavoro in tutta l'Unione Sovietica comprendono stupri e prostituzione, bambini morti e interrogatori brutali. Ma oltre ai molti orrori ci sono anche sorprendenti ed emozionanti storie di amore e di amicizia, di resistenza e ingegnosità. Questi estremi sono raccontati con dettagli vividi e indimenticabili in alcuni libri scritti da donne che sono sopravvissute ai campi di lavoro, ai Gulag.

"La pagina più sanguinosa della nostra storia"

La parola Gulag originariamente era un acronimo che stava per Direzione Centrale dei campi di lavoro ed è arrivata in seguito a rappresentare l'intero sistema di prigionia e di lavori forzati che Stalin ha ampliato nel 1929 e che è cresciuto ulteriormente fino alla sua morte avvenuta nel 1953. Anne Applebaum, nel suo libro "Gulag: una storia", stima che tra queste date "circa diciotto milioni di persone siano passate attraverso questo sistema di massa" con diversi altri milioni costretti a emigrare. Le condizioni di vita erano terribili; il tasso di mortalità era elevato. Ma "alla fine", scrive Applebaum, "le statistiche non possono mai descrivere pienamente quello che è successo". Possiamo iniziare a comprendere la sofferenza dietro i numeri solo leggendo le testimonianze dei sopravvissuti. Tamara Petkevich è una donna russa che ha trascorso sette anni nei campi di lavoro.

Nel suo libro autobiografico "Memoir of a Gulag Actress" parla di un ex ufficiale dell’NKVD (servizi di sicurezza) che viene imprigionato. "La pagina più sanguinosa della nostra storia si è fermamente proiettata sulla coscienza esasperata di questo funzionario", scrive Petkevich. Si aggira mormorando frasi senza senso in cui ordina di fucilare, esiliare o arrestare “tutte le donne di Mosca” e, infine, si scatena con un'ascia, staccando pezzi di arti cosicchè "fiumi di sangue sgorgavano dappertutto". Una dottoressa lo ha fermato chiedendogli con voce imponente: "Dov'è il verdetto? Quando si è pronunciata la corte?" Questo folle episodio rappresenta una metafora microcosmica di un periodo senza senso. Eugenia Ginzburg, professoressa a Kazan, ha trascorso diciotto anni nei campi di prigionia sovietici.

In "Viaggio nella vertigine" descrive i banali dettagli che sottolineano l'orrore, come lavare il reggiseno in un pozzo di acqua sporca o rammendarlo con aghi fatti dalle spine di pesce "prese dallo stufato serale". Tra l’altro, come se non fosse niente di particolare, scrive del momento in cui una pacifica, cordiale donna di nome Nadya è collassata sul pavimento ghiacciato, in una "purpurea serata a Kolyma" nella Siberia artica. La guardia tocca il suo corpo con il fucile e le grida di alzarsi fino a che una delle altre prigioniere non gli dice che è morta.

Sesso e parto

Annientate dalla loro squallida vita nei campi di lavoro, alcune di queste donne hanno trovato il modo di migliorare le proprie condizioni di vita e di procacciarsi del cibo scambiando favori sessuali con i funzionari del campo. Non tutte, però, hanno ceduto a questa tentazione, diventando oggetto del disprezzo e dell'ostilità delle compagne di prigionia. "Le sue mani blu, congelate dal freddo con le sue dita storte si protendevano verso di me", scrive Ginzburg.


Donne nei campi di prigionia (Foto: gulagmuseum.org)

Quando lei offriva sesso in cambio di soldi, commentava ironicamente di aver in precedenza considerato la prostituzione solo come un problema sociale o come un tema teatrale. Le autrici dei memoriali sono state arrestate per lo più per motivi politici legati al vergognoso articolo 58 del codice penale. Etichettata come "figlia di un nemico del popolo", Petkevich è stata arrestata ad appena vent'anni nel 1943. Era una bellissima giovane donna che è diventata il bersaglio di frequenti aggressioni sessuali. Quando lottava per respingere il capo del dipartimento educativo-culturale, quest’ultimo ringhiava: "Tu marcirai. Striscerai ai miei piedi in cerca di aiuto ...". Petkevich in seguito descrive come le madri venissero separate dai loro figli e ricorda una prigioniera che si era spogliata nuda "urlando imprecazioni e parolacce perchè era di nuovo incinta e gridando che dovevano lasciarla stare”. Le guardie l’hanno portata nel blocco riservato alle punizioni "da dove abbiamo sentito le sue urla fino a molto tempo dopo".

"La felicità dei prigionieri"

Contro tutti le previsioni, alcune delle storie che emergono dai Gulag vanno oltre la barbarie. Orlando Figes, nel suo romanzo epistolare "Qualcosa di più dell’amore" documenta la relazione tra Lev e Sveta dopo l’arresto di Lev. Sveta ha rischiato tutto per fargli visita e mandargli le cose necessarie a salvargli la vita. Le 1.500 lettere che si sono scritti rappresentano un tributo allo spirito umano. La più famosa amicizia nata nei Gulag è quella tra Ariadna Efron, figlia della poetessa Marina Cvetaeva, e Ada Federolf, le cui memorie sono state pubblicate insieme in un unico volume chiamato “Unforced Labors”. Efron ha scritto in una lettera che il suo rapporto con Federolf ha "resistito alla prova di dieci anni in condizioni di vita le cui difficoltà fortunatamente si riescono a malapena a immaginare". Federolf descrive la sua gioia nel rincontrare di nuovo "Alya" dopo una separazione: "Ecco la felicità dei detenuti, la felicità che viene semplicemente dall’incontrare una persona".

Diverse memorie descrivono l'uso di colpetti in codice per comunicare tra le celle. Quando Ginzburg riesce finalmente a decodificare il messaggio che la sua vicina aveva pazientemente ripetuto, ossia “s-a-l-u-t-i”, può "percepire la sua gioia" attraverso le lastre di pietra del muro. Per Ginzburg "non ci sono amicizie più calorose di quelle creatisi in prigione". Anche la letteratura è diventata un'ancora di salvezza. Ginzburg recita poesie russe e compone proprie poesie, in cui domanda: "Di cosa fidarsi / Quando tutto è menzogna?" Petkevich, che è diventata un'attrice, prima in un teatro collettivo che ha promosso dei tour nei campi, e alla fine nel mondo esterno, spesso parla del potere dell'arte. Nella storia in cui recita dice "più forte della mia stessa sofferenza". A un concerto in un campo di prigionia, "l'intera sala singhiozzava ... Avevamo dimenticato il suono della musica".

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