Se la vita diventa un'opera d'arte

Un dialogo con Olga Sviblova, anima del Museo Multimediale di Mosca, nato dall'evoluzione della Casa della Fotografia. Per raggiungere il bello in ogni aspetto dell'esistenza

A volte, vita e arte si sovrappongono. Fino a confondersi quasi del tutto. A sessant’anni Olga Sviblova, creatrice del Museo di Arte multimediale di Mosca, è curatrice, accademica dell’Accademia delle arti e Cavaliere dell’Ordine nazionale della Legion d’Onore. E nel 2013 ha inoltre ricevuto il Premio internazionale Montblanc per il patrocinio delle arti e della cultura. Oggi, con quasi duemila mostre allestite, sarebbe difficile immaginare Mosca senza il "suo" Museo di Arte multimediale (Mmam), nato dall’evolversi della Casa della fotografia. Nel 1996, anno in cui fondò il museo, Olga Sviblova aveva già conseguito una laurea in psicologia, scritto sceneggiature, diretto diversi documentari e fatto esperienza come curatrice di mostre d’arte contemporanea in Russia, Finlandia, Svizzera, Gran Bretagna, Francia e nei Paesi Bassi.

"Quando iniziai a creare il museo mi resi conto che la fotografia è una tecnica artistica", afferma. "Una tela può essere riempita di colori o di escrementi di elefante, come dimostra Chris Ofili. Non è questo che sminuisce l’opera di un grande artista". Olga Sviblova definisce la fotografia "magica", perché è al tempo stesso opera d’arte e documento. Agli occhi dell’osservatore anche uno scatto pianificato o un’immagine ottenuta con l’aiuto di un computer hanno un valore documentario. "Quando iniziai ad allestire il museo, sapevo che avremmo finito per occuparci di arte contemporanea, e che questo avrebbe comportato l’inclusione di nuove tecnologie – ovvero di nuove tecniche, ma anche di nuovi significati". Verso la metà degli anni Novanta la fotografia, grazie ai suoi costi contenuti, appariva come l’unica tecnica capace di coinvolgere il pubblico. In seguito, questo pubblico ha avuto bisogno di essere istruito.

Ma nel movimentato clima degli anni Novanta, animato da continue discussioni sul futuro della nuova Russia, la direttrice del museo non si proponeva solo di introdurre i russi all’arte moderna, ma desiderava anche mostrare loro la storia del Paese attraverso i documenti disponibili. La fotografia forniva infatti l’occasione di far conoscere alla popolazione il resto del mondo, di cui prima della caduta della cortina di ferro i sovietici avevano sentito parlare solo come entità mitologica. "C’era chi pensava che oltre i confini nazionali vi fosse il paradiso; altri immaginavano invece che vi si trovasse l’inferno; noi mostrammo loro che quel mondo era abitato da persone in carne ed ossa", afferma la direttrice del Mmam.

Durante l’era sovietica gli archivi di molti fotografi russi che per stile o vedute non soddisfacevano i criteri ufficiali del "socialismo reale" rischiavano di essere distrutti. I fotografi non disponevano di laboratori o magazzini, e nelle loro abitazioni spesso non vi era spazio a sufficienza per conservare le opere. Inoltre, tenere in casa degli archivi di fotografi modernisti o foto che potessero essere ritenute "offensive della realtà sovietica" era rischioso. Verso la fine degli anni Novanta, dopo l’apertura del museo, quando la paura di un possibile ritorno a quel clima repressivo era svanita, i fotografi e i loro discendenti iniziarono a rendersi conto del valore degli archivi in loro possesso, e molti iniziarono a prestare ascolto a Olga Sviblova – e ad aderire alle sue iniziative. "Il nostro lavoro non si limitava alle parole. Non sono una politica, che fa promesse durante le campagne elettorali, ma una professionista che sogna in grande. Sognare è importante. Nulla può essere conseguito senza sogni, senza una visione e una strategia per lo sviluppo futuro".

In un Paese dove molti monumenti sono stati irrimediabilmente distrutti e altri ricostruiti sotto forma di repliche, Olga Sviblova ha anche un altro obiettivo: quello di restituire all’arte russa il concetto di storia. "Attraverso l’autenticità dei monumenti abbiamo voluto far capire che anche nell’arte contemporanea esistono diversi stili estetici", dichiara. Una curatrice capace di ascoltare e di capire: "L’idea che un curatore sia un demiurgo è per certi versi esagerata. Quando lavoro con un autore tento far emergere la sua voce più personale. Talvolta ciò accade attraverso uno scontro, altre volte si raggiunge una felice comunione di vedute. Se si desidera ‘sentire’ l’artista, occorre tacere". Come il protagonista del film “Essere John Malkovich”, Sviblova penetra nella mentalità e persino, afferma, nel "sistema circolatorio" dell’artista.

Regista, interprete, costruttrice e guardarobiera Negli ultimi diciassette anni questo museo ha assorbito quasi tutti i pensieri e tutto il tempo della curatrice. Ammesso che Olga Sviblova abbia qualcosa di cui lamentarsi, non è certo perché conduce una vita monotona. "In un modo o nell’altro tutto ruota attorno al museo. Alla Biennale di Venezia, dove mi occupo del padiglione russo, il mio primo compito è quello di costruirlo, materialmente, e fare in modo che non crolli. Per farlo attingo all’esperienza maturata nei cinque anni durante i quali ho seguito la costruzione del nostro museo, nei quali ho imparato a risolvere migliaia di problematiche di ordine economico, organizzativo e pratico e mi occupavo personalmente anche della scelta dei detergenti per la pulizia delle sale".

All’occorrenza Olga Sviblova funge anche da interprete, per comunicare con i visitatori che spesso arrivano dalla Francia. Nei giorni in cui l’affluenza al museo è stata particolarmente abbondante si è anche unita ai guardarobieri, aiutandoli a ritirare i soprabiti dei visitatori. La vita in ogni sua manifestazione Olga Sviblova ammette che il lavoro di attrice è l’unico che non l’abbia mai attratta. Ad interessarla infatti è la realtà, non la finzione. La sua vita, afferma, è la sua "principale sceneggiatura", e non prova imbarazzo per nessuno dei ruoli che vi ha rivestito: ha calcato le passerelle durante le sfilate di moda ma anche fatto la spazzina. "Per sei anni ho pulito le strade, e sono orgogliosa di poter dire che svolgevo bene quel lavoro", afferma soddisfatta. Oltre ai libri, la direttrice del Mmam legge sei quotidiani al giorno, quattro riviste politiche e due riviste d’arte. Si dedica alla lettura ogni sera, anche se torna a casa tardi. Da ventidue anni trascorre il mese di agosto nella casa galleggiante del marito Olivier Morand, dove dispone di una semplice cucina da campo ed è circondata da migliaia di ettari di natura incontaminata, tra paludi, uccelli e altri animali. "Sono anche una brava giardiniera: pianto pomodori, melanzane e peperoni: tutte cose necessarie alla vita. Amo la vita in ogni sua manifestazione".

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