Dreaming of Space (2005)

Aleksei Uchitel mette in scena il "Come Eravamo". Sogni, desideri, il muro della realtà. Tra nostalgia e l'aspirazione a un nuovo comunitarismo

C'è stata una parte della guerra fredda che si è giocata oltre i confini del globo terrestre. La corsa allo spazio, la ricerca di una supremazia tecnologica come veicolo, vettore, del predominio concreto e simbolico di un Paese sull'altro. Unione Sovietica e Stati Uniti, la cortina di ferro che arriva in orbita, i blocchi che si contrapponevano anche per la conquista di orbite e satelliti. Uno scontro che ha animato il dibattito pubblico mondiale per tutti gli anni '50 e '60, uno scontro che ha segnato in profondità non solo l'immaginario collettivo delle due nazione, ma anche lo stesso rapporto tra cittadini e istituzioni dei due stati. Far parte della comunità che avrebbe portato il primo uomo nel cosmo era un fattore importante della costruzione della cittadinanza. Gli astronauti erano eroi intorno ai quali ritrovare nuove dimensioni dello spazio civico. Lo sguardo rivolto agli astri per rafforzare il terreno della propria convivenza.

Ma tutto questo non risolveva i conflitti sociali, non riusciva a ricucire le contraddizioni che attraversavano i due paesi. Nel caso dell'Unione Sovietica: osservare lo Sputnik che riesce, per la prima volta nella storia dell'umanità, a mettersi in orbita intorno alla terra, non risolveva un tessuto sociale fatto di fratture sempre più profonde, di linee di faglia che percorrevano città dopo città, famiglia dopo famiglia. Parte da queste analisi, Dreaming of Space, il film del 2005 diretto da Aleksei Uchitel.

Ci troviamo in un piccolo centro dell'entroterra, nell'autunno del 1957. La vita scorre tranquilla, nella falsa stabilità assicurata, a caro prezzo, dal regime. Konyoc è un cuoco che vuole soltanto restare nel solco in cui si trova. Vuole sposarsi, costruire una famiglia con Lara. La sicurezza, la stabilità, la realizzazione all'interno dei confini tracciati dall'etica di Stato. All'opposto: Gherman, sportivo dilettante, tira di boxe. Non ha che un sogno: trasformare la propria dissidenza verso un regime in cui lo spazio per la libertà personale, fisica e spirituale, diminuisce sempre di più, in forza per compiere un gesto risolutivo. Attraversare quella cortina, rompere la logica dei blocchi, arrivare nell'Ovest che identifica come la terra promessa per dare alla propria ricerca di libertà il terreno su cui svilupparsi.

Le loro vite iniziano a intrecciarsi. E questo intreccio consente a Uchitel di dar vita a un affresco che, forse per la distanza storica dagli avvenimenti di cui si parla, riesce a restituire meglio di molti altri tentativi le dinamiche in base alle quali si dipanava la vita nell'Urss della prima destalinizzazione. Un paese che, forse, sperava nello portata simbolica dello Sputnik: intraprendere, finalmente, un viaggio verso un'altra terra promessa: verso il paese giusto e progredito, l'obiettivo della Rivoluzione d'ottobre, continuamente annunciato e continuamente rinviato.

Ma quella di Dreaming of Space è soprattutto una microstoria. Che, ovviamente, trae senso e direzione dal contesto storico in cui si trova ma ne rivela sfumature e sfaccettature che sfuggono ad analisi, semplificazioni, tentativi di schematizzazioni. Una microstoria che diventa fenomenologia visiva dei sentimenti intrappolati in steccati sociali troppo deboli per contenerli ma abbastanza forti per in trasformarli in crimini, colpe, errori portatori di risentimenti e rimpianti. Un racconto dettato dall'inevitabile tensione alimentata dalla necessità di comprendere il proprio passato.

Ed è questo uno dei meriti di Uchitel: riaprire una ferita perché solo così è possibile osservare e curare le “infezioni” che per troppo tempo sono state tenute nascoste e che, nella Federazione di oggi, diventano un non-detto insito all'interno di ogni discorso pubblico. Un atto di onestà e di amore verso la propria storia recente per guardare, anche con severità, a ciò che nel presente non viene affrontato. E dove il sogno dello spazio è, forse, quello di uno spazio pubblico in cui dire e manifestare il proprio privato con trasparenza.   

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