Anche modellini a grandezza natuale sono ospitati nel Museo ebraico di Mosca (Foto: Emmanuel Grynszpan)
Il presidente israeliano Shimon Peres si è recato a Mosca per l’inaugurazione di quello che di fatto è ora il più grande museo ebraico del mondo. Occupa l’intera superficie di 8.500 metri quadrati del “Garage Bakhmetievski”, un edificio costruttivista del 1927 realizzato dall'architetto Konstantin Melnikov che fino al 2011 ospitava un centro di arte contemporanea molto frequentato. La federazione delle comunità ebraiche russe, proprietaria dell’immobile dal 2001, accarezzava l’idea di aprirlo da una decina d’anni e ciò è diventato possibile grazie al lungo lavoro di ricerca necessario a reperire finanziamenti per 50 milioni di dollari da donatori privati.
Il risultato è straordinario: per il concetto ispiratore, per la preziosità delle sue raccolte e le emozioni che assicura, il museo rientra sin dalla sua inaugurazione tra i luoghi imperdibili da visitare nella capitale russa, città per altro non avara di mete interessanti. “Abbiamo concepito il museo come un percorso cronologico intorno a due assi, che riconducono entrambe alla Seconda Guerra Mondiale - spiega Ralph Appelbaum, ideatore del museo. - A esclusione del carro armato T-34, che ha liberato l’Europa, avevamo pochi oggetti originali da esporre, ma abbiamo concentrato i nostri sforzi sulla raccolta di documenti e sui documentari”.
Il sapiente uso delle luci focalizza l’attenzione del visitatore sulle fotografie di grande formato appese alle pareti, sulle sculture e sui manufatti che descrivono la vita degli ebrei a partire dagli shtetl (villaggi dalla popolazione a maggioranza ebraica) del XVIII secolo nella “zona di residenza” dove furono segregati dal potere zarista, fino alle grandi città del XX secolo.
Un itinerario cronologico
La visita del museo inizia assistendo alla proiezione di un filmato, di una decina di minuti circa, intitolato “L’inizio”, che racconta il periodo compreso tra la creazione e l’inizio della Diaspora. Uscendo dalla sala cinematografica, si arriva a un’enorme “carta dell’emigrazione” sferica, riportante la distribuzione geografica degli ebrei. Alcuni plastici a grandezza naturale ricreano, insieme a ologrammi, filmati e sculture, gli interni delle abitazioni ebraiche negli shtetl.
Più avanti si passa all’esodo verso le grandi città avvenuto alla fine del XIX secolo, ricostruito con l’esempio di Odessa, città aperta: in una sala è possibile sedersi con lo scrittore e drammaturgo Cholem Aleikhem e con altre personalità ebree locali. Ralph Appelbaum, per esempio, si siede di fronte all’umorista Aleikhem e muove le dita su alcuni libri virtuali appoggiati sul tavolo, in formato touch come un iPad.
“Non sempre la storia è un argomento appassionante per i giovani -, afferma Appelbaum, uno dei progettisti di questo museo e personalità tra le più famose al mondo. - I nostri sforzi pertanto si sono concentrati essenzialmente su di loro. Abbiamo utilizzato tecnologie di social network come il voto, test interattivi di apprendimento e touch screen per rendere gradevole l’esperienza ai più piccoli”.
Non per questo il percorso storico risulta edulcorato. Al centro del museo, dove convergono i suoi due assi principali, è situato un gigantesco schermo panoramico sul quale sono proiettate le immagini che documentano le fasi più tragiche della Seconda Guerra Mondiale: Babi Yar, le esecuzioni in massa da parte dei nazisti, l’assedio di Leningrado, la battaglia di Stalingrado e infine la vittoria. Di fronte allo schermo si innalza un monumento funebre a forma di piramide dove i visitatori possono accendere una candela in ricordo dei milioni di vittime i cui nomi compaiono uno dopo l’altro su un grande schermo scuro.
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Il Museo ebraico di Mosca pone l'accento sull'interattività per avvicinare un pubblico giovane (Foto: Emmanuel Grynszpan)
L’interattività, per catturare l’attenzione dei più giovani
Il museo fa molto affidamento sull’interattività e sull’apertura a un pubblico quanto più vasto possibile, soprattutto i giovani. Questo sforzo rappresenta la volontà di non ricadere nello spirito di appartenenza a una comunità chiusa o nel settarismo, visti i pregiudizi dei quali gli ebrei sono stati spesso vittime. Naturalmente, non si tratta di un museo “fatto dagli ebrei per gli ebrei”, bensì di un luogo destinato a migliorare l’immagine degli ebrei stessi presso la popolazione russa.
“L’idea di fondo è proprio quella di sottolineare la diversità dei popoli che vivono in Russia, - osserva Ralph Appelbaum. - A prescindere dall’origine etnica, in Russia ci si può affermare per quel che si è. Da qui il nome particolarmente lungo dato alla struttura, Museo ebraico e centro della tolleranza, che pare sacrificare qualcosa al politicamente corretto”.
Gli illustri personaggi presenti all’inaugurazione non hanno mancato di notare una particolare forma di ossequio nei confronti del Presidente Vladimir Putin, che “ha subito appoggiato l’idea di un nuovo museo ebraico”, come ha sottolineato Aleksandr Boroda, presidente del museo e della federazione delle comunità ebraiche in Russia.
A un tratto, il percorso museale si fa meno concentrato riguardo ai momenti più dolorosi della coesistenza tra ebrei e russi, per esempio i pogrom della Russia zarista e l’invenzione del celebre quanto fasullo “Protocollo dei Savi di Sion”, inventato a tavolino dalla polizia dello zar e che continua ancor oggi a fare danni. L’accento di questo percorso museale è per lo più dato al grande flagello che entrambi i popoli dovettero affrontare: la Seconda Guerra Mondiale.
Nel messaggio fatto pervenire da Vladimir Putin in occasione dell’inaugurazione, il Presidente ricorda che i due popoli sono entrambi strenuamente impegnati a difendere il ricordo di quel tragico periodo e a lottare contro ogni forma di revisionismo storico. Malgrado qualche aspetto diplomaticamente smussato, il museo ebraico rientra indubbiamente nel novero dei luoghi della memoria più efficaci al mondo.
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