Massimiliano e Doriana Fuksas insieme a Mosca (Foto: Reuters)
L'archistar italiano Massimiliano Fuksas racconta ai lettori di Russia Oggi le sue impressioni sulla capitale della Federazione. Partendo dai ricordi e dalle origini familiari, l'intervista si trasforma in un viaggio tra i sogni che possono diventare realtà.
Le costruzioni moscovite degli anni Venti e Trenta del Novecento diventano la base di partenza per sviluppare il futuro, che necessariamente dovrà essere all'insegna della sostenibilità ambientale, concepita non solo con l'obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti, ma con un tratto caratteristico di tutta la progettazione urbana. Un obiettivo che è possibile raggiungere senza contrastare la storia urbanistica cittadina e senza costi eccessivi.
Quante volte ha visitato Mosca per ragioni professionali o anche solo personali?
Dagli anni Sessanta in avanti, direi almeno 15 volte.
Se dovesse provare a descrivere la città, come la definirebbe?
Direi che è una città in attesa, che si sta sviluppando per gradi, anno dopo anno, ma senza mostrare una particolare fretta. Sono convinto che, nel momento in cui prenderà davvero coscienza delle sue potenzialità,
diventerà la più grande del mondo.
Ci fornisce un giudizio di Mosca dal punto di vista architettonico?
Guardando le costruzioni presenti in città, soprattutto nel nucleo centrale, il periodo più interessante secondo me rimane quello cosiddetto “di Stalin”, in cui emerge una dignità, una forza difficile da ritrovare in seguito. Un discorso che vale anche per gli edifici che non sono ancora stati restaurati: il loro valore resta comunque
evidente nelle parti che sono giunte intatte fino ai giorni nostri. Anche se indubbiamente necessitano di interventi per far emergere tutto il loro valore.
C’è un modello architettonico che la colpisce più di altri e orienta il suo lavoro?
Su tutti il Neoclassico. Ma anche la piccola architettura con quei colori incredibili, piccoli verdi, piccoli azzurri, piccoli rosa. Segnali che dicono molto della storia russa tra l’Ottocento e il Novecento. Ci sono tentativi interessanti anche sul fronte dell’architettura contemporanea. Prendiamo il caso di Skolkovo, la futura Silicon Valley russa, situata alle porte di Mosca: qui ci sono tentativi di nuova architettura, esperimenti per certi
versi interessanti, ma manca ancora una vera e propria caratterizzazione.
C’è una cosa che le piacerebbe realizzare a Mosca?
Sì, molte. Ho in mente, per esempio, un quartiere con un elevato livello di sostenibilità grazie a un massiccio ricorso al green building, oltre che a scelte architettoniche mirate. Insomma, la mia idea è di tenere insieme bassi consumi energetici, integrazione con il territorio circostante e bellezza del manufatto. Si tratta di un risultato non così difficile da raggiungere, in fondo. L’importante è muoversi per piccoli passi, scegliere le soluzioni più adatte di volta in volta, senza pensare ai massimi sistemi. Tocchi una cosa e un piccolo problema ti fa vedere quella più grande. Si può distruggere un edificio perché il luogo dove si trova sta veramente male. Se no, lo puoi sempre sistemare e riorganizzare.
Cosa la lega alla Federazione, al di là delle esperienze professionali?
La mia famiglia ha origine lituane: così, quando è caduto il regime, è venuta a vivere a Mosca. Questa cosa si è
tramandata nei ricordi dei miei avi.
L'intervista è stata pubblicata sul numero cartace di "Russia Oggi" del 18 ottobre 2012
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