Foto: Danil Golovkin per la rivista Snob
Ultimo Presidente dell’Urss, Nobel per la pace, leader dell’Unione dei socialdemocratici: è il cursus honorum di Mikhail Gorbaciov. Nel 1985 avvia la perestrojka. Contribuisce alla fine della Guerra Fredda e alla caduta del muro di Berlino. Annuncia la Glasnost e riabilita le vittime dello stalinismo. Poi il crollo dell’Urss, di cui, oggi, si pente. L’Occidente lo adora, in Russia è malvisto. Tutto il mondo lo chiama Gorby.
Se potesse tornare indietro cosa
farebbe di diverso?
Torno spesso con la mente al marzo del
1985 quando fu accettata la proposta della mia nomina a segretario
generale. Non potevo certo rinunciare. E Raissa (Raissa Maksimovna
Gorbaciova, sua moglie) era contraria. Mi chiese: Ne hai bisogno?.
Non provava simpatie per la politica, ma mi amava. Così dissi a me
stesso: se sei una persona seria, non devi dire di no. Avevo ben
chiara la situazione del Paese. Non caddi giù dalle nuvole. Ero nel
Partito da quando avevo quindici anni. Ero pure il più giovane
membro del Politburo. Probabilmente agirei nello stesso modo
e la mia scelta sarebbe la stessa di ventisette anni fa. Di sicuro
cercherei di evitare gli errori di calcolo e le previsioni sbagliate
che ho fatto.
Cosa è stato di intralcio nella
realizzazione dei suoi progetti politici?
Stavamo andando
nella giusta direzione. Eravamo però in ritardo con la riforma del
Partito che da promotore della perestrojka si trasformò nel suo
freno. A dire il vero anche la nomenklatura non ci aiutò. A un certo
punto capì che se le fosse sfuggito il controllo del Paese, sarebbe
stata la fine del monopolio. Il Pcus non superò la prova
democratica. E anche dopo il 1989 nelle libere elezioni i comunisti
ricevettero quasi l’85 per cento dei voti. Il popolo non era contro
i comunisti, tra i quali figuravano persone serie e brillanti. Molto
spesso tuttavia erano i carrieristi con la tessera del Partito a
occupare i posti più importanti. Sicuramente rimanemmo indietro
anche con la riforma dell’Unione. Non ci passava nemmeno per la
testa che tutto sarebbe finito. Eravamo sicuri che l’Urss fosse una
roccia.
Cosa sarebbe diventata l’Urss
se si fossero attuate le riforme?
Sarebbe stato un Paese
libero e democratico. Guardi, qualsiasi cosa abbia intenzione di fare
il nuovo potere si sta chiarendo che il via di tutto fu dato durante
la perestrojka. Questo significa che i processi iniziati allora
continuano. Se avessi io la possibilità di occuparmene allora lo
farei in modo coerente, graduale e non tutto in fretta e furia come è
nella nostra tradizione. Accettare la perestrojka in un Paese come il
nostro è in generale un grosso rischio. E prendersi la
responsabilità per cambiamenti simili è un fardello fuori dalla
portata di chiunque.
Quando si sarebbe potuta
riformare l’Unione per non farla crollare? Negli anni Ottanta
questo punto non era forse già stato superato e la dissoluzione era
inevitabile?
Dopo 30 anni di governo di Stalin, dopo che si
era insediato il suo rigido meccanismo e un sistema
economico-amministrativo totalitario, uscirne come l’araba fenice
dalle ceneri o ribellarsi a esso era impossibile. Krusciov ci provò
e fece alcune cose affinché iniziassimo a pensare in quale Paese
vivevamo, ma ne pagò il prezzo. Ci allontanavano dall’eredità
staliniana a fatica. La gente semplice non capiva e non accettava
tutte queste rivelazioni sul "culto della personalità". E tutto il
periodo di Brezhnev fu a suo modo un neostalinismo: un regime
totalitario senza repressioni.
Nella sua vita professionale e
politica quale fu il momento di massima tensione? Cosa pensa della
decisione che prese in quel frangente?
Dall’inizio alla fine, posso dire di aver dato tutto me stesso nel lavoro. E altrettanto
ho ricevuto in cambio. Questo impegno mi è costato molto caro, da
tanti punti di vista. Non giocavo a golf. Tutto quello che era
rimasto a me e Raissa era la nostra passeggiata giornaliera di sei
chilometri. In qualunque momento della giornata. Persino di notte se
tornavo tardi. Uscivamo di casa e c’incamminavamo. Lo abbiamo fatto
per quasi quarant’anni. Di una cosa mi rammarico: non aver portato
avanti le riforme fino alla fine. E, comunque, attraverso
compromessi, complicate manovre, decisioni flessibili siamo riusciti
a portare la società fino al punto in cui ritornare a un passato
totalitario e sovietico non era più possibile. Questo, alla fine, è
ciò che conta.
Qual è secondo lei il suo
successo più importante?
Negli anni della perestrojka siamo
riusciti a metterci sul cammino della libertà. E questo percorso
resta ancora da completare.
Ha un motto?
Uno che
valesse per tutta la vita non ce l’avevo. Quando però c’era
la perestrojka, mi ripetevo spesso: risolvi i problemi in modo
democratico, senza spargere sangue. Attraverso compromessi, manovre
complicate e decisioni flessibili siamo riusciti a portare la società
fino al punto in cui ritornare a un passato totalitario non era più
possibile. Questo è ciò che conta.
Questa intervista è stata pubblicata per la prima volta sulla rivista "Snob"
L'intervento è stato pubblicato sull'edizione cartacea di Russia Oggi
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