Siria, la posizione della Russia

Vignetta di Natalia Mikhaylenko

Vignetta di Natalia Mikhaylenko

La Federazione non difende il presidente Assad, ma i principi del diritto internazionale. Un momento di confronto sulla questione al Club Valdai organizzato a Sochi

Perché le proposte della Russia per la composizione del conflitto siriano si arenano negli intrighi diplomatici degli americani, e le iniziative ufficiali di Damasco vengono respinte senza appello sia dall’opposizione siriana che dai Paesi membri della Lega araba? È possibile oggi, in linea di principio, far ripartire il dialogo interno alla Siria?

Nella sessione dedicata al Vicino Oriente del Club Valdai che si è tenuta a Sochi qualcuno dei politologi ha osservato causticamente che i processi in atto nella regione andrebbero chiamati non “primavera araba”, ma “autunno arabo”. Se parliamo di primavera, non è stata “araba”, ma piuttosto “islamica”. Nei Paesi delle cosiddette rivoluzioni vittoriose sono saliti al potere i partiti islamici, che praticamente non avevano preso parte al rovesciamento dei vecchi regimi. I leader di questi partiti hanno atteso pazientemente che i giovani e gli intellettuali con la loro euforia lasciassero le piazze per tornarsene a casa.

Ma è forse l’arrivo al potere degli islamici ciò che sognava l’opinione pubblica dell’Occidente, che ha sostenuto senza riserve tutti gli avvenimenti rivoluzionari che si sono verificati nella regione? Ora i leader europei dicono che avevano previsto l’ascesa al potere degli islamici, e che la cosa non li preoccupa. Eppure, gli omicidi e le torture che si stanno compiendo in Libia sotto il nuovo regime e gli arresti dei collaboratori delle organizzazioni non governative americane in Egitto gettano un’ombra di dubbio sulle speranze dell’Occidente in una rapida democratizzazione dell’area. Sempre che l’Occidente vi credesse davvero.       

Ma allora perché in Europa e negli Usa si continua a volere il rovesciamento del regime di Bashar Assad, che attualmente governa Damasco? Molti dei partecipanti all’incontro di Sochi hanno dimostrato con valide argomentazioni che con l’uscita di scena dell’attuale leader siriano nel Paese si creerebbe un vuoto di potere e, di conseguenza, il caos politico e la guerra civile.

"Assad se ne deve andare"

La maggioranza delle discussioni ospitate nella sezione sul Vicino Oriente del Club Valdai, dedicate alle rivoluzioni avvenute nella regione, si sono concluse con un’analisi della situazione in Siria e dei possibili scenari di sviluppo degli eventi nel Paese. Molti partecipanti arabi, chi per ipocrisia, chi sinceramente, non capivano perché la Russia sostenga il capo dello Stato siriano, e così facendo senza volerlo complichi i rapporti con i nuovi leader dei Paesi del mondo arabo, giunti al potere sull’onda delle rivoluzioni, e con la Lega araba.      

In tutto ciò, però, gli esperti arabi hanno evitato di esaminare la questione della legittimità dell’ascesa al potere in Siria dell’opposizione con il contributo di forze esterne. E non hanno voluto fare i conti con l’esistenza di un notevole consenso per il presidente Assad nella società siriana. Sembra che all’interno del mondo arabo abbia preso forma un’isteria collettiva dall’accurata regia, montata grazie allo slogan “Assad se ne deve andare”. Su chi prenderà il potere in Siria dopo la sua uscita di scena e su cosa sarà dell’economia e del sistema politico del Paese nessuno dei partecipanti arabi al forum del Club Valdai ha voluto pronunciarsi.

Tutte le cifre e i fatti citati a supporto della tesi di un sostegno popolare ad Assad sono stati interpretati come una contraffazione, come dati ottenuti dietro pressione o sotto l’influenza della paura. Questa psicosi politica, suscitata dal desiderio della “piazza araba” di proseguire le rivoluzioni nel Vicino Oriente senza fermarsi ai risultati raggiunti, complica i rapporti tra il potere ufficiale di Damasco e l’opposizione. E giustifica la mancanza di volontà di quest’ultima di intraprendere un dialogo di pace.

Secondo i partecipanti arabi e russi al forum del Club Valdai, è verosimile che nei confronti di Assad venga applicato il cosiddetto “scenario iracheno”: si tenterebbe cioè di corrompere i massimi livelli della gerarchia militare o una parte dell’entourage più vicina al presidente siriano. E il leader del Paese verrebbe di fatto messo in un angolo. Tra i Paesi pronti ad accogliere Assad in caso della sua rinuncia al potere ci sarebbe solo l’Arabia Saudita, ma anche questa ipotesi, come hanno fatto notare gli analisti, è poco probabile.  

Attualmente gli avversari stranieri del potere siriano stanno lavorando alacremente per armare l’opposizione. L’addestramento dei guerrieri siriani può proseguire sia direttamente in Siria, sia nei paesi del Golfo Persico. Le forniture di armi agli avversari di Assad verranno effettuate attraverso i corridoi umanitari oppure attraverso le frontiere scarsamente difese della Siria con l’Iraq e con il Libano. In Siria un intervento militare diretto da parte dell’Occidente o degli stati del mondo arabo appare poco probabile, anche per la presa di posizione di Russia e Cina. Mosca e Pechino si dichiarano contrarie a qualsiasi risoluzione che possa aprire la strada a una simile aggressione straniera. E senza una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nessuno dei protagonisti dello scacchiere mondiale tenterebbe un’invasione della Siria.  

"È troppo tardi per discutere di elezioni"

Gli esperti radunatisi a Sochi non hanno discusso delle intese annunciate a conclusione dell’incontro tra Bashar Assad e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, a proposito del referendum sulla nuova costituzione e sullo svolgimento delle elezioni parlamentari, prima, e  presidenziali, poi, in Siria. Alla fine della seduta una delle partecipanti palestinesi all’incontro, un deputato parlamentare, mi ha spiegato perché: “È troppo tardi. Se Assad avesse annunciato imminenti riforme politiche la scorsa primavera, la cosa avrebbe potuto funzionare. Ma oramai in Siria è stato versato troppo sangue”.       

La mancanza di un dialogo interno alla Siria moltiplica le probabilità di una guerra civile nel Paese. Già adesso nel Vicino Oriente si susseguono continuamente nuovi “ordini del giorno”. Sullo sfondo del conflitto siriano sta crescendo la tensione intorno al programma nucleare iraniano e si sta rafforzando su tutti i “fronti” il contrasto interconfessionale tra le comunità sciite e sunnite.  

Rispondendo a una domanda sulla stabilità delle monarchie del Golfo Persico, uno dei partecipanti che presentava il punto di vista dell’opposizione siriana e al tempo stesso si sentiva vicino all’Occidente ha pronunciato una frase enigmatica: “Può darsi che laggiù (nei Paesi del Golfo Persico) ben presto accadrà qualcosa di importante che scatenerà un effetto domino”. Finora le monarchie del Golfo Persico sono state le principali sostenitrici e sponsor delle rivoluzioni nel Vicino Oriente, le quali, come ha affermato con pathos un partecipante libico, hanno dato forma a un tipo di uomo nuovo: “il cittadino arabo”. Ma non è che a questo cittadino in futuro tornerà in mente di avere dei diritti, tra cui il diritto elettorale, nei Paesi del Golfo dove da decenni governano sempre gli stessi rappresentanti delle famiglie reali? 

Raggiungere un accordo prima di salpare

Opponendo il suo veto alla risoluzione siriana, Mosca ha difeso presso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu i principi del diritto internazionale, le garanzie di sovranità e di non ingerenza esterna negli affari degli altri stati. Indipendentemente da quali buoni motivi giustifichino questa ingerenza. Secondo la Russia, la distruzione non ragionata degli istituti internazionali che si sono venuti a creare dopo la Seconda guerra mondiale rischia di sconvolgere l’ordine mondale stabilito.

Tale punto di vista è in contrasto con un’altra opinione diffusa nelle relazioni internazionali: i sostenitori di quest’ultima affermano che i cambiamenti verificatisi in tutto il mondo – la “primavera araba”, lo spostamento dei centri dello sviluppo economico in Asia, l’indebolimento di Europa e Usa – richiedano leggi internazionali più al passo coi tempi, che tengano conto delle nuove realtà. E queste leggi devono dare il diritto a delle forze esterne di intervenire nei conflitti interni dei paesi, qualora vengano violati i principi della democrazia o vi sia bisogno di difendere la popolazione dalle azioni del potere vigente.  

Abbiamo visto applicare questo approccio in Libia, e ora si sta creando una situazione analoga intorno alla Siria. Ma queste nuove regole di condotta internazionale non sono state ratificate da nessuna istituzione internazionale. Esse sono in contrasto con i principi costituiti del diritto internazionale che la Russia e la Cina difendono. Mosca non è contraria a dei cambiamenti in futuro, ma propone di trovare un accordo preventivo in proposito, “prima di salpare”. E di non impiegare questi nuovi schemi di politica internazionale in maniera selettiva, nei confronti dei regimi politici che l’Occidente non vede di buon occhio.   

Vale la pena di ricordare che nei paesi in cui si sono avute le rivoluzioni arabe il rovesciamento dei vecchi regimi è stato compiuto con l’appoggio diretto o indiretto di forze esterne. Oggi i nuovi governanti di questi Paesi sono solidali con l’opposizione siriana.

Secondo gli esperti russi del mondo arabo, sono un bluff le minacce rivolte a Mosca, secondo le quali sostenendo una soluzione pacifica del conflitto siriano la Russia guasterebbe i suoi rapporti con i Paesi arabi. Il mondo arabo continuerà ad avere bisogno della Russia, se non altro per creare un contrappeso agli Stati Uniti nella propria regione. Pertanto, anche i nuovi regimi islamici dopo un breve periodo di raffreddamento dei rapporti torneranno inevitabilmente a cercare il modo di riavvicinarsi a Mosca.

Respingendo le accuse di sostegno personale al presidente Assad, e non rinunciando ai tentativi di instaurare un dialogo interno alla Siria, la Russia aspira ad essere riconosciuta come intermediario equidistante e imparziale da tutte le forze politiche siriane. La diplomazia russa otterrebbe così un’opportunità di partecipare alle trattative sul futuro di Assad e del suo governo, e sul futuro assetto politico della Siria. E non permetterebbe di ripetere in Siria lo “scenario libico” per cui Muammar Gheddafi è stato martoriato e ucciso dagli insorti e i suoi figli vengono torturati in carcere. 

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