Una forza di pace per la Siria

Vignetta di Alexey Iorsh

Vignetta di Alexey Iorsh

La Lega Araba chiede l'intervento dell'Onu a Damasco, mentre Occidente e Al Qaeda sembrano aver trovato un linguaggio comune. Il dopo Assad sarà democratico?

Nel corso della riunione di domenica 12 febbraio 2012 al Cairo, i ministri degli Esteri della Lega Araba hanno deciso di chiedere al Consiglio di Sicurezza dell’Onu l’invio in Siria di una forza di pace internazionale che sostituisca l’attuale missione degli osservatori arabi. La Lega si è nuovamente “lavata le mani” per quanto riguarda il conflitto siriano e per la seconda volta, negli ultimi dodici mesi, ha autorizzato un intervento straniero nel Paese arabo. 

Questa nuova forza di pace sarà composta da rappresentanti delle Nazioni Unite e della Lega Araba. I ministri hanno inoltre raggiunto un accordo per interrompere la “cooperazione diplomatica” con i rappresentanti del governo siriano, sebbene ciò non determini una rottura definitiva delle relazioni diplomatiche e la relativa espulsione degli ambasciatori siriani dai vari Paesi della Lega Araba. Il gruppo ha inoltre annunciato che il primo incontro degli “amici della Siria”, l’unione dei Paesi arabi ed europei contrari al regime di Bashar al Assad, si svolgerà il 24 febbraio 2012 a Tunisi.

Eppure, la Siria ha più amici di quanto possa sembrare a prima vista. Il nuovo numero uno di Al Qaeda,l'egizianoAyman al Zawahiri, appoggia le forze che si oppongono al regime di Assad in Siria, intervenendo, in sostanza, a favore della posizione di Stati Uniti, Europa e monarchie del Golfo Persico. In un videomessaggio, diffuso su un sito islamico, al Zawahiri ha accusato il presidente siriano di mantenere un orientamento anti-islamico e di condurre crimini contro il suo stesso popolo.

Secondo l’organizzazione americana Site, che si occupa di monitorare i siti Web di matrice estremista, al Zawahiri esorta i siriani a non aspettare l’aiuto dell’Occidente, dal momento che, qualora questo aiuto venisse concesso, l’Occidente imporrebbe poi sul Paese un regime fantoccio.

Questa coincidenza paradossale di punti di vista, che accomuna l’Occidente e gli estremisti islamici, non promette niente di buono per la Siria.

L’esperto dell’Accademia russa delle Scienze, Evgenij Primakov, ministro degli Esteri russo negli anni 1996-1998, osserva a riguardo: “Sono molti, i nostri colleghi occidentali, a non capire che nell’ipotesi in cui il presidente Assad sia deposto dal suo incarico, il governo che seguirà non sarà affatto democratico. Quando parlano della possibilità di un’ascesa al potere democratica dell’opposizione, stanno bluffando. L’Egitto dovrebbe insegnarci molto a questo proposito ”.  Nel corso di un’intervista con un’emittente russa, Primakov ha sottolineato che il dialogo è l’unico modo per risolvere questa situazione critica, altrimenti “una delle parti inonderà di sangue l’altra”.

L’ex-diplomatico si esprime in modo piuttosto cauto, ma in effetti, le dimissioni di Assad significherebbero l’arrivo a Damasco dei salafiti, la frangia più ortodossa dei musulmani sunniti. Un processo simile è attualmente in corso in Egitto, dove i salafiti, assieme ai più moderati Fratelli Musulmani controllano già la maggioranza parlamentare, a seguito delle elezioni celebratesi tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012.

In questo periodo, in Egitto, si sono verificati già degli scontri tra sunniti, copti e cristiani. In Siria questo processo potrebbe dare luogo a una vera e propria spaccatura, avverte il Presidente dell’Istituto per il Medio Oriente, Evgenij Satanovskij.

Storicamente, il controllo della Siria è nelle mani degli alawiti, vicini per le loro credenze religiose ai mussulmani sciiti. Costituiscono quasi il 15 per cento della popolazione, mentre i cristiani si aggirano attorno al 10 per cento. Questo rappresenta un punto d’appoggio per il regime. Vi è poi una cospicua diaspora di curdi, dei quali solo alcuni professano l’islam. I sunniti, invece, che combattono a Homs contro l’esercito del governo, con il sostegno dei correligionari delle monarchie del Golfo Persico, sono circa il 40 per cento.

“Nel caso in cui Assad si dimetta, in Siria ci potrà anche essere una democrazia”, dichiara Satanovskij, ma sarà una democrazia che si servirà della repressione e della violenza per liberarsi delle minoranze etniche e religiose del Paese, fatto che potrebbe portare, in conclusione, a un ulteriore proseguimento degli scontri e alla disintegrazione del Paese. Già lo slogan dell’opposizione “i cristiani in Libano, gli alawiti al cimitero”, non promette nulla di buono.

Viste le premesse, non c’è da sorprendersi poi se Damasco ha respinto tutte le offerte della Lega Araba, elaborate durante l’incontro al Cairo. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, si augura, a sua volta, che il suo collega degli Emirati Arabi Uniti, giunto a Mosca, fornisca informazioni più dettagliate sulla posizione della Lega Araba.

Tuttavia, poiché questa posizione ripete, di fatto, la decisione che un anno fa aprì la strada al duro colpo inflitto alla Libia, le possibilità che diventi la base per le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sono minime.

“La decisione riguardante la richiesta, avanzata dalla Lega degli Stati Arabi, spetta al Consiglio di Sicurezza dell’Onu”, ha dichiarato il Segretario Generale delle Nazioni Unite in risposta all’appello della Lega Araba di inviare in Siria un contingente internazionale di pace. È improbabile che Mosca e Pechino, in qualità di membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, approvino un tale provvedimento.

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