2008, Yuri Kozyrev, primo premio, Ritratti
I migliori fotografi sovietici e russi, insigniti del World Press Photo, in mostra. I premiati dal 1955 al 2010 riuniti a Mosca dal 7 gennaio al 14 febbraio 2012. Nel corso dei 55 anni del concorso sono stati premiati 89 reporter russi e sovietici, i quali hanno ricevuto un totale di 133 medaglie. Di questi 45 si sono aggiudicati il premio Golden Eye e la medaglia d’oro per il primo posto.
Al giorno d’oggi, molti parlano del “culto della violenza”, che sembra aver sommerso il concorso internazionale. In precedenza i critici ufficiali sovietici dicevano lo stesso dei colleghi occidentali, che sembravano essere interessati solo agli eventi tragici. All’inizio degli anni ‘60 la direttrice del mensile Sovetskoe Foto Marina Bugaeva si presentò al concorso con una serie di scatti felici e ottimistici, che raffiguravano lo stile di vita sovietico, e rimase sorpresa quando la giuria scartò i suoi lavori, dimostrandosi più interessata a reportage fotografici di catastrofi, incendi e deragliamenti.
2004,Yuri Kozyrev,secondo premio,Spot News stories
“Marina rimase molto indignata”, racconta Viktor Achlomov, membro della giuria del World Press Photo negli anni 1983-1985. Qualcuno le spiegò che, a causa della cortina di ferro, la professione del fotogiornalista era più simile a quella del dentista: ti faceva male, ma alla fine ti guariva. Il giornalista doveva dimostrarsi attento al pubblico mondiale, nei punti più critici del pianeta. In quell’occasione “per consolare” il membro sovietico della giuria fu premiato per la categoria Vita Quotidiana lo scatto di Majja Okuško, Nevesta (La Sposa), dove il volto sorridente di una giovane sposa era immortalato da dietro le spalle dello sposo. Ebbe così inizio l’infiltrazione dei cruenti reportage occidentali nelle luminose e felici immagini sovietiche. Il fenomeno durò fino a quasi la fine degli anni ‘80.
L’Urss ha riscritto e censurato non solo il suo passato, ma anche il suo presente, e ciò si rifletteva nella professione del fotoreporter, che non doveva, in effetti, fare reportage, bensì arte. L’importante non era trovarsi nel posto giusto al momento giusto, ma ricostruire la realtà con una bella inquadratura.
1989, Ivan Kurtov, primo premio, Vita quotidiana
Sport e arte erano gli ambiti in cui, tradizionalmente, i fotografi sovietici erano forti negli anni della stagnazione. E ovviamente anche la vita quotidiana, immortalata in modo pittoresco: ritratti di anziani caucasici centenari, scene di caccia allo zibellino, bagni invernali all’aperto, i primi passi di un bambino, la routine di un cardiochirurgo, matrimoni, nascite di bambini, un orso bianco che mangia germogli allo zoo, una scimmia che nello studio del veterinario ha paura della siringa: così i fotografi interpretavano la vita quotidiana nei loro scatti.
“A quel tempo, i lavori per il concorso venivano inviati attraverso l’Associazione dei giornalisti”, racconta Sergej Vasilev, plurivincitore del premio Golden Eye (primo premio del World Press Photo in diverse categorie). “Si faceva il servizio fotografico, loro ci inviavano l’invito, noi a loro le fotografie, che la commissione poi esaminava a Mosca. Era richiesto il formato da esposizione e tre fotografie per il controllo: una per la censura, una per il Kgb, e l’ultima per un altro posto ancora”.
1964,Gennady Koposov,primo premio,Personaggi
Sergej Vasilev è un fotografo unico: tutti le sue foto vincenti sono state scattate nella sua città natale, Čeljabinsk. Ex agente di polizia, ha iniziato l’attività di fotografo come amatoriale, pubblicando i suoi scatti sul quotidiano locale. Il servizio nella polizia gli permise di scattare una serie di foto intitolata Žizn’ v nevole (Vita in cattività). Tuttavia, solo nel 1990, i suoi scatti finirono al concorso World Press Photo, e fu allora che furono conosciuti in tutta la Russia. Negli anni ‘70 e ‘80 Vasilev vinse diversi premi per Kartiny mirnoj sčastlivoj žizn’ (Ritratti di una vita tranquilla e felice): famosa la serie Roždenie čeloveka (Nascita dell’uomo), vincitrice del concorso nel 1975, è scattata in un ospedale di Čeljabinsk che ritrae una fila di pance e seni nudi.
1963, Maya Okoshko,secondo premio,Personaggi |
“Sebbene al concorso non fossero ammesse fotografie di nudo, i miei scatti non furono mai respinti”, racconta Sergej Vasilev. “Non mi sono mai sentito oppresso da nessuno, né dal partito sovietico, né dalla censura, né tantomeno dalla redazione in cui lavoravo”.
“Semplicemente, fintanto che vivevamo in un Paese, dove non succedeva mai nulla, non potevamo apportare il nostro contributo ai cruenti eventi mondiali”, spiega la fotografa e premio World Press Photo, Viktorija Ivleva. “Non appena iniziò a succedere qualcosa nel Paese, iniziammo anche noi a fornire il nostro contributo e affogammo tutti nel sangue”.
Ivleva è stata insignita del premio Golden Eye nel 1991 per la serie di fotografie Vnutri Černobylja (Dentro Cernobyl). Proprio con la catastrofe di Cernobyl i fotoreporter sovietici, e in seguito quelli russi iniziarono ad alimentare le fila dei fotografi dediti a immortalare tragedie di scala mondiale. Dimostrarono il loro eroismo, rischiarono la vita, facendo ciò che prima veniva chiamato, riferendosi ai fotografi occidentali, “perseguire il clamore”.
Molti vincitori del World Press Photo contribuirono a cambiare l’opinione pubblica e la censura dell’Urss. Così è stato nel 1989, dopo lo scatto di Ivan Kurtov, vincitore per la categoria Vita Quotidiana. La foto ritrae quattro cadetti mentre salutano un veterano che si trascina, su un carrello con ruote, sulle lastre di granito del lungomare di Leningrado. Il fotografo ricorda che quando conobbe Anatolij Gomblievskij, volle subito dedicargli un reportage. Tuttavia, tutti i giornali di Leningrado, ad eccezione della rivista progressista Smena, rifiutarono l’idea: non volevano mostrare una “patologia”. I redattori moscoviti, invece, spedirono le foto al concorso World Press Photo.
“Il giorno seguente Leningradskaja Pravda pubblicò in prima pagina, in bella vista, il mio scatto con le seguenti parole: Il nostro collega e connazionale ha vinto…”. Lo scatto fu pubblicato su molti giornali del Paese, e alla vigilia del 9 maggio comparvero su tutti i quotidiani, come un’esplosione, foto di veterani invalidi, o semplicemente invalidi, che sui giornali sovietici non erano mai state pubblicate.
“Negli anni ‘90 e 2000, noi, fotoreporter e spettatori, ci siamo occupati proprio di questo: aprire per noi stessi il presente. Abbiamo mostrato quello che prima non si poteva fotografare. Abbiamo formato, praticamente per noi stessi, una nuova realtà, diversa da quella in cui eravamo cresciuti e a cui, naturalmente, eravamo abituati”.
La nuova realtà era scioccante. Era così poco simile alla vita quotidiana felice dell’epoca sovietica, che sorse la tentazione di ricordarla attraverso la fantasia dei fotografi, a caccia di clamore. Le serie sulle colonie di donne e bambini, fotocronache della rivoluzione in Georgia e Azerbaigian, il crollo dell’Unione Sovietica, la guerra di Cecenia, gli attacchi terroristici, Capodanno in una clinica psichiatrica (un paziente con un cappello da clown seduto sul letto), Boris Eltsin che balla la sua danza pre-elettorale, con delle ragazze, su un palcoscenico.
L’ultima cruenta serie, fotografata e celebrata al World Press Photo è Tragedija v Beslane (Tragedia a Beslan) (2004) di Yuri Kozyrev. Di Kozyrev è il premio russo più recente del concorso, per il ritratto di una donna irachena, rimasta vedova, con il proprio figlio (2008). Da notare che nello stesso anno hanno vinto anche altri due fotografi russi: secondo posto per la categoria Sport è andato ad Aleksandr Taran, mentre il terzo ad Aleksej Bushov per la categoria Natura.
Sport e arte, a quanto pare, tornano a essere i nostri cavalli di battaglia, come negli anni ‘60 e ‘70, ma non a causa di tabù ideologici o di restrizioni nella professione. C’è semplicemente una concezione estetica diversa tra il modo in cui intendiamo noi la fotografia moderna, e la fotografia aggressiva di eventi, che negli ultimi anni è sempre più protagonista al World Press Photo. È probabile che si tratti di un conflitto generazionale: i nostri più grandi fotografi immortalano i problemi globali più urgenti, ma sono usciti da una scuola diversa, nata in epoca sovietica ed estranea al minimalismo scuro, che spopola, invece, tra le nuove generazioni di fotografi.
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