Foto: Ria Novosti
I risultati delle elezioni parlamentari non hanno soddisfatto un gruppo consistente di quella parte della società chiamata “la Russia di Internet”, diversa dalla “Russia della televisione”. Un numero considerevole di progressisti, di persone istruite, informate, hanno rivolto critiche pesanti agli episodi legati alla falsificazione dei risultati elettorali, comparsi in gran numero sul Web russo esattamente il giorno stesso delle elezioni, il 4 dicembre 2011.
Le spiegazioni fornite dalle autorità, secondo le quali tali episodi sarebbero quasi tutti inventati, mentre girano i video che riprendono persone mettere in grande quantità nelle urne schede elettorali precompilate, non sono di certo lo strumento propagandistico più brillante che potessero adottare in una tale situazione. E’ evidente che le informazioni in circolazione, incluse quelle provenienti dagli osservatori presenti alle elezioni, debbano trovare una reazione un po’ diversa, e, perlomeno, una “punizione” esemplare dei colpevoli, un’appropriata inchiesta giudiziaria su quanto è accaduto.
Hanno suscitato una particolare indignazione i casi di brogli a Mosca e San Pietroburgo, dove, rispetto a molte altre regioni, nelle quali non c’è stata una tale sproporzione, c’è stata una differenza tra exit-polls e risultati definitivi del 15% circa. Il margine è andato a favore di Russia Unita.
Tuttavia la protesta contro queste elezioni, prima di tutto è stata una protesta assolutamente non organizzata, in secondo luogo di fatto non è stata appoggiata dai tre partiti dell’opposizione andati in parlamento, seppure anch’essi inizialmente si lamentassero dei brogli. Al termine dei primi due giorni di proteste spontanee a Mosca e San Pietroburgo sono state fermate alcune centinaia di persone; gli autori dei disordini ispirati agli attivisti dell’irremovibile opposizione di Ilja Jashin e di colui che è noto per le sue rivelazioni anti-corruzione, il blogger Aleksej Navalnyj, sono in stato di arresto per 15 giorni.
Quali sono le conseguenze dell’aumento del malcontento? Si pensa che questa volta siano irrilevanti. E non solo perché in Russia è inverno, e d’inverno si spera siano pochi coloro che hanno voglia di aggregarsi, a meno che non sia una questione di vita o di morte. Per ora il problema è l’indignazione che si sta accumulando, seppure non del tutto “ufficiale”, di una parte dell’élite dirigente, in questo caso rappresentata dal partito Russia Unita.
Il partito ha fatto sì che si commettesse tutta una serie di errori più che evidenti nella propria campagna elettorale, non strutturandola in modo tale da rispondere in modo adeguato alle questioni più serie, che inevitabilmente si presentano in tempi di difficoltà economiche. Non è stata definita in modo sufficientemente chiaro nemmeno la linea e la dura posizione da adottare nella lotta alla corruzione, e questa è l’accusa più frequente rivolta alla burocrazia della classe dirigente. Infine poi durante la tappa finale della lotta elettorale si sarebbero potute anche evitare le mancanze più lampanti e gravi. Anche senza di esse Russia Unita avrebbe potuto, con una campagna organizzata in modo più efficace, ottenere la maggioranza relativa dei voti, la quale, stando ai criteri europei, sarebbe potuta considerarsi una “vittoria più pulita”. Tanto più che l’opposizione in realtà non è riuscita a proporre nessun messaggio chiaro durante la campagna, non si è distinto nell’opposizione nessun personaggio di spicco, i programmi non erano chiari, ai dibattiti gli esponenti dell’opposizione hanno forse portato a termine un noioso dovere, non credendo loro stessi nella propria vittoria. In sostanza, molti dei voti in più ottenuti dai partiti dell’opposizione non vanno ricondotti tanto al merito dei partiti, ma all’intenzione degli elettori, stanchi di Russia Unita, di votare “per ripicca”.
Ma votare “per ripicca” non porta a rivoluzioni. Soprattutto, rivoluzioni non se ne avranno se le azioni provengono da una folla isolata e del tutto eterogenea dal punto di vista delle idee, che raggruppa nazionalisti, anarchici, studenti, giornalisti e semplicemente membri di un circolo. Da questo può nascere soltanto una rivolta insensata, destinata a spegnersi in fretta. Le opposizioni “non sistematiche” in realtà non hanno un leader che si distingua, che possa almeno accontentare un certo buon numero di persone insoddisfatte del partito dirigente, in modo da guadagnarsi il consenso della gente. E la mancanza di un tale leader difficilmente incentiva i rappresentanti della società ad unirsi, società caratterizzata già da tempo da un alto grado di apatia politica e dove per tradizione la capacità di unirsi “nella scalata verso il potere” non si trova al primissimo posto nella scala mondiale, per usare un eufemismo.
Infine, c’è un altro aspetto, puramente demografico. La Russia è un Paese da un certo punto di vista molto più “anziano” rispetto a quei Paesi arabi che hanno mostrato al mondo “la primavera araba” (delle cui dirette conseguenze, come il diffuso rafforzamento delle posizioni degli islamisti, il mondo potrà anche non gioire del tutto nel vicino futuro). L’età media degli abitanti dell’Egitto ad esempio è di poco superiore ai 20 anni. L’età media di un russo si avvicina ai 40. A quarant’anni le persone già non sono più abituate alle rivolte in strada. In più, oggi i giovani in Russia hanno molte più possibilità di realizzarsi rispetto ai giovani dei Paesi poveri del Vicino Oriente, come l’Egitto, la Siria o lo Yemen.
Altra cosa è che le autorità devono imparare a reagire in tempo alla crescente indignazione proveniente dall’una o dall’altra parte della società. Ed iniziare a portare avanti un dialogo con questi gruppi della popolazione. Altrimenti ne risulta un quadro molto strano, se i rappresentanti della nuova generazione istruita di giovani cominciano a dare il voto “per ripicca a Russia Unita” ai comunisti, i quali addirittura non nascondono il proprio attaccamento a Stalin e ai suoi metodi di gestione del Paese. Date loro modo di mettere in pratica gli ideali che hanno dichiarato e “la Russia di Internet” cesserà semplicemente di esistere. Per non parlare poi di qualsiasi forma di elezioni “concorrenti”.
Georgy Bovt è un commentatore politico che risiede a Mosca
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