Agricoltura, lo Stato punta sui giovani

Foto: Getty Images/ Fotobank

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Dopo il crollo degli anni ‘90, il comparto torna a crescere. E il governo vara strategie ad hoc, ma per i tecnici c’è ancora bisogno di infrastrutture

L’agricoltura russa prova a rialzare la testa dopo il crollo degli anni Novanta. La ripresa degli investimenti e la voglia di innovazione sono evidenti, anche se molto resta ancora da fare per recuperare il gap rispetto all’Europa.

Ogni anno la Russia importa solo dagli Stati dell’Ue un milione di tonnellate di carne suina. Ed è per questo motivo che nella sua dottrina sulla sicurezza alimentare il Presidente Dmitri Medvedev ha parlato anche dell’autosufficienza, spiegando che entro il 2020 l’85% della carne e il 90% del latte dovrebbero derivare dalla produzione nazionale. Questo corrisponderebbe a un aumento del 20% rispetto a oggi.

Lo Stato concede crediti soprattutto per l’allevamento. Finora ogni anno Mosca ha investito quasi sette miliardi di euro nel settore agricolo, molto meno rispetto all’Unione europea; Bruxelles paga 100 miliardi all’anno agli agricoltori. Però, “già ora in Russia si riesce a produrre a prezzi da mercato mondiale”, dice Klaus John, consulente agricolo. A suo avviso, l’agricoltura russa è competitiva anche senza sovvenzioni. Tuttavia il Paese è uno dei maggiori importatori di prodotti agricoli del mondo. Il patrimonio zootecnico di 11 milioni di mucche è ben lontano dai 42 milioni di mucche lattifere esistenti al momento del crollo dell’Urss.

Secondo gli esperti bisognerà importare ancora a lungo latte, soia e carne bovina. Tra dieci anni, però, la Russia potrebbe essere autosufficiente per quanto riguarda la carne suina e, probabilmente, il pollame.

Già adesso c’è un surplus di grano e colza, che finisce nell’export. Nel 2009 sono stati raccolti 108 milioni di tonnellate di grano, mentre nel 2010 il raccolto è calato a 60 milioni di tonnellate a causa della siccità e degli incendi. Per il 2011 invece si aspettano nuovamente buoni raccolti. In questa maniera si tornerebbe quasi al livello dei 117 milioni di tonnellate del 1990.

Nelle riviste russe di agricoltura si legge di investimenti in aziende nuove e già esistenti.

Ma c’è ancora tanto da fare per recuperare il terreno perduto: “La maggior parte delle aziende non lavora in maniera efficiente”, dice un altro consulente, Sergei Iarovoi, lamentando un’organizzazione del lavoro non ottimale. Un altro motivo di inefficienza è la struttura dell’economia agricola: chi pratica l’autosufficienza è troppo piccolo, le imprese agricole esistenti sono troppo grandi. Per un gruppo con campi che si estendono come una provincia tedesca è difficile controllare ogni azienda. Le holding quotate in Borsa devono inoltre distribuire i loro profitti agli azionisti: impossibile tenere riserve per tempi difficili. Questo si è evidenziato in particolar modo nella crisi finanziaria del 2008 e nelle sue conseguenze. Per mesi alcune società non hanno potuto pagare gli stipendi.

Tanti genitori non vedono più un futuro per i propri figli nell’agricoltura e auspicano un loro trasferimento in città per studiare. Così la popolazione delle campagne invecchia: “Ci manca il personale professionale che sappia maneggiare le macchine agricole e le ultime tecnologie, oltre che coordinare i lavori”, dice Alexander Musnik dell’azienda agricola Soldatskaja, vicino a Kursk. Solo pochi vogliono tornare in campagna dopo l’università. Neanche stipendi più alti della media riescono a far tornare i dottori in agraria dal centro alla periferia. Chi abita in campagna viene spesso denominato in maniera dispregiativa “derevenshina” (scemo del villaggio).

Per questo si cerca di far arrivare lavoratori preparati dall’estero: negli ultimi anni si assiste a un numero crescente di agronomi e manager europei arrivati nella campagna russa e impegnati in programmi di sviluppo del settore.

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