Sulle arie di Italia e Russia

Foto: Ufficio Stampa

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L`opera, da Rossini a Vrubel, rivive a Milano con foto d`epoca e preziosi costumi di scena, mentre la Scala celebrerà il rinato Teatro Bolshoj

Rende omaggio al valore fondativo del melodramma italiano ma esalta anche il rapido fiorire di stilemi e soggetti nazionali la mostra “Il destino dell’opera russa”, ricca di 200 pezzi provenienti dal Museo d’Arte Teatrale e Musicale di San Pietroburgo, esposti fino al 20 novembre 2011 a Palazzo Morando di Milano, a ingresso libero.

Quand’ancora le opere di Rossini, Donizetti, Bellini e Verdi dominavano incontrastate sui palcoscenici imperiali di San Pietroburgo, a scatenare entusiasmi erano soprattutto i cantanti italiani. Come la soprano Adelina Patti, ritratta in una delicata  litografia e omaggiata con il calco della mano realizzato con devozione da uno scultore russo. I costumi di scena e le fotografie con dedica testimoniano lo status di star di Enrico Tamberlik, il tenore romano  che fu tra gli interpreti del debutto pietroburghese de La forza del destino.

Giuseppe Verdi, a cui i Teatri Imperiali commissionarono l’opera, appare immortalato in Russia in una rara fotografia seppiata, in posa con un lungo cappotto e un colbacco di pelliccia. Agli artisti russi non restava che ideare scene e costumi, ma lo facevano con grande stile: finissimi gli acquerelli per le più celebri opere italiane realizzati da Andrej Roller.

La seconda parte della mostra è dedicata ai compositori Glinka, Borodin, Riimskij–Korsakov, Musovskij, che diedero all’opera russa una connotazione fortemente nazionale, assecondati da artisti sempre più attratti dal folklore slavo, fino ad arrivare a Konstantin Korovin e Aleksandr Golovin. Di Mikhail Vrubel, enigmatico simbolista, sono in mostra gli incantevoli costumi de La fanciulla di neve e di Sadko. Decorati di perle, pelliccia, conchiglie, furono disegnati per la moglie dell’artista, la soprano Nadezhda Zabela-Vrubel, che un paio di foto di scena ritraggono nella sua fiabesca bellezza.

Evgenija Mravina era l’altra divina del canto russo: in una foto scattata per l’opera Ruslan e Ludmila  appare in quello stesso costume di scena dai colori accesi e dalle luccicanti decorazioni esposto in mostra.  Al celeberrimo Fëdor Shaljapin è dedicata una piccola sezione della mostra, in cui il basso figura nelle vesti del suo personaggio simbolo, Boris Godunov.

Se in quel fervido esordio di Novecento molti degli artisti più brillanti emigravano all’estero con la troupe di Djagilev, nella Russia pre e post-rivoluzionaria restavano  espressioni di splendente avanguardia. Basti vedere i figurini costruttivisti di Vladimir Tatlin per Una vita per lo zar e quelli di Ekaterina Petrova per Kashej l’immortale.

Ma prima che gli sperimentalismi si esaurissero in un conforme realismo teatrale, Italia e Russia erano riuscite a convivere serenamente, scambiandosi titoli, cantanti e allestimenti. Anche sul palcoscenico del Teatro Bolshoj di Mosca, come documenteranno dal prossimo 3 novembre 2011 due mostre allestite al Teatro alla Scala: “Storia di un grande teatro e della sua rinascita” (Foyer Toscanini) e “Esperimenti di avanguardia sul palcoscenico del Bolshoj. 1917-1932” (Museo Teatrale).

Per informazioni sulla mostra “Il destino dell’opera russa”, a Palazzo Morando di Milano,  clicca qui

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