Il Concettualismo di Prigov

Foto: Itar-Tass

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In Italia “Trentatré Testi”, raccolta di versi del poeta moscovita scomparso nel 2007, edita da Terra Ferma e a cura di Alessandro Niero

Nella postfazione del volume "Trentatré Testi", una raccolta di poesie del poeta moscovita Dmitri Prigov (Terra Ferma, 119 pag.), il traduttore Alessandro Niero offre una precisa e limpida definizione del Concettualismo moscovita. Oltre a “l’approccio estremamente analitico e razionale alla scrittura, la deliberata mortificazione della figura dell’autore, l’invalidamento del rapporto diretto fra realtà linguistica ed extralinguistica” e “il consapevole sconcerto suscitato nel lettore dalla logica metaletteraria e riflessiva”, il ramo russo del movimento transnazionale si sviluppò all’interno di un sistema politico che aveva creato una percezione dualista della parola, una comprensione “binaria” dovuta alla drastica incoerenza fra la realtà propagandata dal governo e la vita quotidiana dei cittadini. Durante “la stagnazione brezneviana (1964-82)” il linguaggio ideologico, distaccato e indifferente al vero andamento sociale, rese la dimensione verbale nella coscienza collettiva sovietica una cosa in sé e per sé, una facoltà priva di una naturale congruenza e relazione con gli oggetti (e persone) che essa doveva identificare e descrivere.

Dmitri Aleksandrovic Prigov (1940-2007), poeta, prosatore, pittore, scultore e performance artist, divenne un nesso importante nel movimento, che cercava di sovvertire l’ideologia ufficiale accentuando l’assurdo divario fra la cosa vissuta e il modo in cui la stessa cosa era espressa. E lo accentuava così persistentemente che una volta, durante una performance stradale nel 1986, in cui distribuiva testi poetici ai passanti, fu arrestato e rinchiuso in un ospedale psichiatrico.


 
“Non fai in tempo a fare i piatti/Toh: una nuova pila svetta/Non c’è verso d’esser liberi/E’ già tanto se si invecchia/Certo, puoi anche non lavare/Poi però la gente fa:/C’hai i piatti da lavare/Dove sta la libertà?”. E’ la Riflessione banale sul tema della libertà. Qui la scelta esistenziale diventa lavare o non lavare i piatti (lavare in russo è myt’ che rima perfettamente con byt’, essere). La tua decisione alla fine deve essere affermativa però, devi lavare i piatti perché la gente aspetta che tu li lavi. Se non li lavi (se non esisti), la pila dei piatti (la vita) diventerà sporca per la gente. Esisti per contribuire al benessere comune; la responsabilità è troppo grande, non hai scelta, senza di te il collettivo cade.



Prigov dedica tante poesie al rapporto fragile fra l’alto e il basso, fra superiorità e subordinazione, fra lo Stato-Dio e il cittadino-individuo, mettendo se stesso in entrambe le posizioni: si accorge della sua piccolezza in confronto all’onnipresenza di un poliziotto; sovrasta una lavatrice che geme; parla con uno scarafaggio quasi annientato; guarda lassù la dimora di Dio da dove un laser americano polverizzerà la Russia... Ma esiste davvero una reciproca comprensione fra le due condizioni, qualche accordo? Si capisce che Prigov lo cerca dappertutto. Ma lo trova?


“Sfoglia il Signore il libro della vita
E pensa: chi potrei portarmi a casa
Odono tutti in cielo un suono ferreo
E par che topi corrano alla loro casa

Ed Egli, scoperchiato il tetto, sorridendo,
Fruga negli angoli con la Sua mano e
Ghermisce un povero, che trema e si dimena,
Guarda il Signor negli occhi e sente dire: Dio è con te
Che ti dimeni a fare?”

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