Il Kazakistan a vent’anni dall’indipendenza

Foto: Photoxpress

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Nel Paese a cavallo tra Europa e Asia la società si è trasformata in un’atmosfera tollerante e moderna. Diversa la sorte di altre ex Repubbliche sovietiche

Nei pomeriggi d’estate, ad Almaty, il parco Panfilov è un luogo molto frequentato. All’ombra della cattedrale di Zenkov, il secondo edificio di legno più alto al mondo, gruppi di ragazzini e di giovani famiglie kazake cantano il karaoke, gustano gelati e tentano la fortuna al luna park. Le donne (sono soprattutto donne) che entrano nella cattedrale cingendosi il capo con dei veli rappresentano per lo più la popolazione di etnia russa, la cui età media è in aumento.

Il profilo etnico del Kazakistan è cambiato drasticamente dal raggiungimento dell’indipendenza, quando i kazaki non rappresentavano che una minoranza nel nuovo Stato. Due anni prima del crollo dell’Unione Sovietica, il censimento del 1988 rivelava che il 39,7% della popolazione della Repubblica Socialista Sovietica Kazaka era costituito da persone di etnia kazaka, mentre il 37,8% erano russi. Erano presenti inoltre minoranze degne di nota quali ucraini, tedeschi, uzbeki e cittadini di altre nazionalità. Vent’anni più tardi il 63,1% della popolazione del Kazakistan indipendente era costituita da kazaki, mentre i russi erano scesi al 23,7%.

L’esodo di massa degli anni Novanta è rallentato riducendosi a cifre minime, ma ogni anno diversi russi continuano a lasciare il Kazakistan. Tra la popolazione di etnia russa, di età media elevata, il tasso di natalità è molto più basso rispetto a quello dei kazaki o delle minoranze di origine asiatica.

Il Kazakistan rappresenta un caso particolare nell’ex Unione Sovietica. Prima che i confini con la Russia venissero stabiliti vi era una distinzione labile tra il Nord del Kazakistan e la Siberia del Sud. Il Kazakistan inoltre era stato sfruttato come luogo di esilio per persone di diverse nazionalità, tra cui coreani, ceceni e tedeschi del Volga, deportati dalle loro terre sotto il regime staliniano. Oggi, il Paese ospita più di 100 gruppi etnici diversi.

Così come in altre Repubbliche dell’Asia centrale, subito dopo l’indipendenza in Kazakistan ci furono manifestazioni di rivolta contro i vecchi padroni del territorio. Tuttavia la paura di rivendicazioni territoriali da parte di Mosca sulle regioni del Nord, a maggioranza russa, provocò una rapida inversione di marcia. Il governo kazako allora non solo trasferì la capitale ad Astana, per marcare il territorio a Nord, ma cercò anche di rimaneggiare i distretti regionali amministrativi ed elettorali in modo da assicurarsi una maggioranza di origine kazaka nella maggior parte delle regioni. Nel contempo il presidente Nursultan Nazarbaev assunse una politica filorussa, stringendo un forte legame con Mosca e riconoscendo il russo come lingua ufficiale.

Le libertà politiche in Kazakistan sono forse limitate, ma la necessità di mantenere la pace ha come risultato una politica interna nei confronti delle diverse nazionalità presenti che, pur non accontentando tutti, è considerata da molti sensibile e lungimirante. “Per quanto riguarda le relazioni interetniche il Kazakistan è piuttosto tollerante e progressivo rispetto ad altri Paesi dell’Asia centrale e dell’Europa. La costruzione della nazione kazaka si è basata su due principi: il profilo multietnico e l’identità kazaka”. Queste le parole di Zharmukhamed Zardykhan, assistente universitario presso l’Istituto Kazako di Management, Economia e Ricerca Strategica (Kimep).

Nadezhda, un’insegnante russa che vive ad Almaty, sostiene che russi e kazaki convivano pacificamente. “L’ottica politica però è cambiata: prima i russi erano visti come fratelli maggiori pronti ad aiutare quelli minori. Ora è tutto il contrario. I russi rimasti rappresentano solo una minoranza mentre i kazaki sono i cittadini ufficiali”.

Tuttavia sono pochi i russi a occupare i vertici politici, nonostante la presenza di rappresentanti di altre minoranze, ad esempio il primo ministro Karim Masimov e il governatore della Banca Centrale Grigory Marchenko. Tutti i candidati alla presidenza devono superare un durissimo esame di lingua kazaka.   

Secondo un rapporto del Minority Rights Group International (Mrg): “Nonostante la lingua russa sia considerata, secondo la costituzione, alla pari del kazako , la legislazione e i programmi di kasakizzazione in atto dal 2001 promuovono l’uso del kazako come lingua principale del governo. Questo si sta dimostrando un ostacolo all’accesso all’istruzione e all’occupazione nell’amministrazione pubblica per una gran parte della popolazione minoritaria di etnia russa”.

Ciononostante il russo è largamente usato in Kazakistan e diversi kazaki, cresciuti in epoca sovietica, lo parlano tutt’ora come prima lingua. Anche i media in lingua russa sono diffusi, sebbene il governo di Astana preveda di aumentare i contenuti in lingua kazaka nelle trasmissioni televisive fino a raggiungere almeno il 50% entro il 2015. D’altro canto, mentre la cultura russa ha permeato il Paese durante tutti gli ultimi tre secoli, i russi dell’Asia centrale hanno in un certo senso adottato alcune usanze locali come la tradizione di un’ospitalità molto generosa o quella di bere il tè dai pilushki (scodelline). “Non siamo più dei russi, ma non siamo ancora dei kazaki”, ha dichiarato Nadezhda.  

Valeriya, una cittadina di Almaty di etnia russa, ha dichiarato di non essersi mai posta interrogativi sulle ragioni per cui restare in Kazakistan: “Semplicemente, è qui che vivo e mi sento parte di questo luogo e di questa comunità”. Valeriya ha partecipato al prestigioso programma Bolashak, che dà la possibilità agli studenti più meritevoli del Kazakistan di frequentare le migliori università straniere, prima di tornare a lavorare presso l’università di Almaty. “Le condizioni di vita e di lavoro sono le stesse per le persone di ogni nazionalità. L’unica cosa che fa la differenza è la volontà di ognuno di raggiungere i propri obiettivi”, ha dichiarato la ragazza.  

Man mano che l’economia kazaka è cresciuta superando il resto dell’Asia centrale è diventata sempre più forte la volontà dei russi di rimanere in questo Paese. Le prospettive di lavoro ad Almaty o a Karaganda sono migliori rispetto a quelle delle città della Siberia, economicamente più arretrate, dove i russi sono esortati a stabilirsi. Gulya, un’altra cittadina di etnia russa che vive ad Almaty, dove lavora come estetista, dice che lei e la sua famiglia hanno intenzione di restare: “Io e mio marito abbiamo un posto di lavoro qui e i miei figli vanno a scuola. Non sappiamo, invece, cosa potrebbe offrirci la Russia”.

Un’eccezione tra le ex Repubbliche sovietiche

La storia delle altre quattro Repubbliche dell’Asia centrale è molto diversa, queste infatti hanno subito un’influenza minore da parte della Russia. In questi Paesi la presenza russa è completamente sparita, ed è difficile sentir parlare russo fuori dalle grandi città. La maggior parte dei russi ha abbandonato il Tagikistan dopo lo scoppio della guerra civile del 1992. Allo stesso modo, la repressione politica e sociale esercitata dal presidente dell’Uzbekistan Islam Karimov, così come il culto per l’eccentrico ex leader del Turkmenistan Saparmyrat Nyýazov (che si era autoproclamato Turkmenbashi, ossia padre di tutti i turkmeni), non hanno incoraggiato gli abitanti di etnia russa a rimanere in quei territori.

Un tempo il Nord del Kirghizistan ospitava molti russi, sia a Biškek che nelle campagne circostanti. Tuttavia, la loro presenza è diminuita costantemente in seguito al rovesciamento del primo presidente, Askar Akayev, nel 2005. Dopo un’altra rivoluzione le minoranze etniche non si sentono più al sicuro in questo Paese.

Secondo un rapporto del Mrg “il trend che sembra voler portare verso un Kirghizistan dei kirghizi sta vivendo un picco in questi ultimi anni”. Attualmente i cittadini di origine kirghiza costituiscono circa il 70% della popolazione, mentre si stima che quelli di etnia russa non arrivino al 9%. Già prima degli scontri che nel giugno 2010 hanno visto i kirghizi opporsi agli uzbeki nel Kirghizistan meridionale, i russi, gli uiguri e i turchi meskheti che vivevano al Nord, nella regione di Biškek, subivano aggressioni fisiche e saccheggi. Stando alle parole di Carl Soderbergh, direttore della politica e della comunicazione del Mrg: “La questione etnica si è dimostrata di nuovo un potente fattore di mobilitazione in Kirghizistan”.  

In passato, nei primi anni Novanta, gli abitanti di etnia russa delle città del Kazakistan meridionale come Qyzylorda o Šikment non si sentivano al sicuro a girare per strada di notte, e non erano rari gli scontri neppure nelle città del Nord a maggioranza russa. Persino oggi, come racconta Nadezhda, molti russi dormono ancora, metaforicamente parlando, “con la valigia pronta sotto al letto”, cioè con la consapevolezza che nonostante ora sia un periodo tranquillo, non è detto che duri per sempre. Temono che in futuro possa salire al potere un leader più nazionalista. “Al momento sono pochi i russi che decidono di lasciare il Paese, questo grazie alla politica pacifista dell’attuale presidente -, afferma Nadezhda, - la politica di stabilità del Kazakistan aiuta molto i cittadini non kazaki, ed è Nazarbaev a garantire questa stabilità”. 

Tuttavia gli equilibri demografici del Kazakistan stanno cambiando in modo naturale e nel giro di una generazione probabilmente la minoranza russa non rappresenterà più una questione da affrontare per i governi futuri. Il naturale declino della popolazione di origine russa e la crescente predominanza della lingua kazaka fanno sì che la questione russa sia destinata a risolversi senza nessun intervento radicale da parte delle autorità. Si dà per scontato che i russi che rimarranno in Kazakistan verranno assimilati dalla cultura locale.  

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