Cosa hanno fatto i Romanov per la Russia?

Foto: Itar-Tass

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La dinastia imperiale fa ancora parlare di sé, dopo la scomparsa dell’ultima discendente dello zar Nicola II. E i russi, sull’argomento, si dividono.

Anche dopo la morte dell’ultima rappresentante di casa Romanov, nata prima del Rivoluzione del 1917, la granduchessa Leonida Romanova, deceduta nel maggio scorso, i russi continuano a cercare delle risposte sul destino di questa famiglia e sull’impatto che ha avuto sulla società.

Così, con la scomparsa della granduchessa Leonida Georgiyevna Romanova, gli storici russi hanno fatto un esame di coscienza chiedendosi: “Che cosa hanno fatto i Romanov per noi?”. E non sembrano trovare motivi per ringraziare l’ultima dinastia imperiale.

In seguito alla sconfitta di Napoleone del 1815 la dinastia russa era al culmine del suo potere europeo. Eppure, appena un secolo più tardi, dopo aver fallito diversi tentativi di riforme economiche, politiche e militari, l’ultimo zar di Russia, Nicola II, lasciò un Paese largamente feudale e in netto ritardo economico rispetto agli altri imperi europei.

Se la fine non è stata delle più gloriose, gli albori della dinastia erano molto più promettenti.  La dinastia dei Romanov, infatti, ebbe inizio con Anastasija Romanovna, prima moglie di Ivan il Terribile, la cui morte nel 1560 sembra averlo portato alla follia.

"La Russia è protetta dalla minaccia della rivoluzione perché, fin dal tempo di Pietro il Grande, i monarchi sono sempre stati  un passo più avanti rispetto alla nazione"

La famiglia raggiunse finalmente i vertici del potere mezzo secolo più tardi, quando i nobili, in seguito a una fase di anarchia ricordata come il "Periodo dei Torbidi",  elessero zar il sedicenne Mikhail Romanov.

“Volevano qualcuno di giovane, silenzioso e affidabile”, scrive di lui il romanziere storico Vladimir Sharov. I boiardi credevano di riuscire a manipolarlo facilmente, e lui finì per regnare in tandem con suo padre, più portato per la gestione del potere.    

L’esponente più celebre della famiglia Romanov fu Pietro il Grande. Oltre a far costruire San Pietroburgo, riuscì anche a cacciare i turchi dalla regione del mare di Azov, costruì una flotta e istituì una rigida forma di capitalismo di Stato combinata col libero scambio.

I Romanov hanno fatto molto per la Russia, ma l’hanno anche profondamente trasformata.

Caratterizzati da una mentalità più "europea" rispetto alle altre dinastie, la famiglia tentò per tre secoli di imporre un sistema di modernizzazione impopolare e talvolta violento.

Un perfetto esempio di questo atteggiamento è rappresentato da un discorso tra lo zar ultraconservatore Nicola I e il capo della polizia segreta, Alexander Benkendorff, all’indomani della Rivoluzione Francese del 1830.

"La Russia è protetta dalla minaccia della rivoluzione perché, fin dal tempo di Pietro il Grande, i monarchi sono sempre stati  un passo più avanti rispetto alla nazione",  disse Benkendorff allo zar.

"L’idea che solo il capo di Stato può risolvere i problemi personali della gente è profondamente radicata nella nostra cultura"

Sotto il controllo di Nicola I, o Nikolaj Palkin ("il bastone") come era stato soprannominato dal popolo, ebbe inizio una brutale militarizzazione della società. Lo zar costrinse dei poveri contadini ad arruolarsi a vita, e spesso li faceva bastonare per piccoli crimini.

Ma Nicola fu anche il vero "europeo" di Russia, come scrisse Aleksandr Puškin, a cui la venerazione nei confronti del monarca era stata trasmessa dalla moglie, Natalja Gončarova,  di cui si diceva avesse una storia con Nicola I.  

Questo carattere "europeo" dei Romanov trovò conferma anche nei frequenti matrimoni con esponenti delle famiglie reali di Occidente, tanto che ai Romanov, dopo Caterina la Grande, non era rimasto molto sangue russo.  

Il netto distacco rispetto alla popolazione ebbe senza dubbio inizio con Pietro il Grande, che scandalizzò i boiardi con il suo programma di modernizzazione e il celebre divieto di portare la barba.  

"La società era considerata un oggetto passivo facile da manipolare e non un soggetto con cui negoziare", afferma lo storico russo Semyon Ekshkut. "Il governo vedeva nel dialogo un pericolo per il proprio funzionamento e una minaccia per la società intera".

"La società era considerata un oggetto passivo facile da manipolare e non un soggetto con cui negoziare"

Gli zar trattavano pubblicamente solo alcune tematiche. Pratica che viene adottata anche oggi, in particolare durante le dirette televisive in cui parla Vladimir Putin, prima come Presidente e ora come primo ministro.

"Non si può affermare che ci fosse una rottura totale tra il monarca e la società, - dichiara lo scrittore Sharov - di certo c’era un diffuso culto del monarca, e la responsabilità di molte delle cose che sono successe è da attribuire alle persone che lo circondavano a corte".

"L’idea che solo il capo di Stato può risolvere i problemi personali della gente è profondamente radicata nella nostra cultura", è il commento di Dmitry Babich, opinionista politico della Ria Novosti. La vicinanza al popolo si è rivelata fatale per lo zar riformatore Alessandro II, che nel 1861 abolì la servitù. Nel 1866 scampò al primo attentato contro la sua persona nel Giardino d’estate a San Pietroburgo. Ma qualche anno più tardi il fatto di stare tra la gente comune lo espose alla morte, in un’azione organizzata da un gruppo di anarchici nel 1881, in strada.

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