Foto: Ria Novosti
Tamara Filatova ricorda lo zio Yuri Gagarin senza l'aura della fama mondiale che lo circonda ora, ma come una persona semplice, senza pretese e di casa. Adesso la nipote di Gagarin dirige il memoriale presso il museo dedicato allo zio nella città di Gagarin (ex Gzhatsk). Proprio lui, quando era ancora un ragazzino di 13 anni, la tenne a battesimo.
Come ricorda il 12 aprile del 1961?
Il volo di Yuri fu una sorpresa per tutta la famiglia, perché la preparazione avvenne in modo assolutamente segreto. Io ero già abbastanza grande, avevo 14 anni, e quindi ricordo molto bene, quando arrivò una delle insegnanti, Polina Viktorovna e mi disse: “Tamara, ma tuo zio non fa il pilota?” e io risposi: “Sì, Yuri Alekseevich”. “Ma sai che è nello spazio?” La prima sensazione non fu di gioia, ma di paura. Per me lo spazio, come lo immaginavo allora, e come del resto lo immagino anche adesso, era una specie di abisso, atroce e ostile. Avevo molta paura per quella persona a cui volevo bene, mi piegai sul banco e piansi per tutta la lezione. Durante l'intervallo Polina Viktorovna tornò ancora per cercare di consolarmi: “Ma perché piangi? E' già atterrato. Tutto a posto.”
La nostra Gzhatsk, una cittadina da 8 mila abitanti, in quella calda giornata di sole era letteralmente trasfigurata. Tutti si erano riversati per le strade, dappertutto allegria, grida di festa... Tutti si abbracciano, si baciano, si scambiano congratulazioni... Per la vita della città era qualcosa di assolutamente fuori dall'ordinario! Il nostro Yurka, perché tutti in città lo chiamavano così, l'aveva fatta davvero grossa! Quando poi sono arrivata a casa, non l'ho neanche riconosciuta. Il selciato allora arrivava solo fino alla nostra porta, e dopo iniziava la strada sterrata. Aprile era il mese in cui c'era più fango. E intorno alla casa, un mare di macchine nere. Dentro casa , la folla. C'era una tale quantità di ospiti, che riuscii a malapena a farmi strada. Non avevamo mai avuto il telefono, e d'un tratto ce n'erano addirittura quattro e tutti suonavano senza interruzioni. Tutti volevano sapere le stesse cose: da che famiglia veniva, com'era cresciuto, dove aveva studiato e poi, insomma, chi era?
Verso sera tutti i parenti vennero portati a Mosca. La mamma di Yuri, Anna Timofeevna se ne era andata prima. Appena aveva sentito l'annuncio per radio, non aveva avuto dubbi che si trattava di suo figlio. Mise insieme tutti i fatti che aveva, tutte quelle trasferte di lavoro e quelle lunghe assenze. Partì subito per Chkalovskij perché era preoccupata per Valja (la moglie di Gagarin): da sola con due bimbe piccole. Lena, la maggiore, doveva compiere due anni il 17 aprile e Galja, la più piccola, era venuta al mondo appena il 7 marzo. Anna Timofeevna ebbe la notizia che Yuri era atterrato senza problemi mentre era sul treno per Mosca. Invece il padre di Yuri, Aleksej Ivanovich, si rifiutava di credere che fosse suo figlio ad essere andato nello spazio. Diceva: “Ce ne sono di Yuri Gagarin al mondo. E poi hanno parlato di un maggiore Gagarin”. E noi non sapevamo che Yuri era stato promosso al grado di maggiore subito dopo il volo.
Voi familiari facevate molte domande a Gagarin sul volo, sullo spazio?
Ci raccontava quello che diceva a tutti: che la Terra è incredibilmente bella da lassù, che vista dallo spazio non è così grande come sembra da qui. Ma non disse mai niente su come fosse stato difficile fare quel volo. Io andavo abbastanza spesso a trovarlo nella Città delle Stelle al fine settimana e vedevo quanto fosse impegnato: usciva molto presto e tornava tardi. C'è da dire che giocava sempre un po' con le bambine prima di andare nel suo studio, dove, alla luce di una lampada, lavorava fino a tardi. Forse, proprio perché era così impegnato, apprezzava molto il tempo libero. Nella Città delle Stelle ci sono due torri di 12 piani uniti da una galleria di vetro, dove i membri del primo equipaggio organizzavano le loro feste. A Capodanno facevano sempre delle feste in maschera. Per il giorno di Nettuno, lo zio si travestiva da Nettuno, e qualcun altro degli uomini, meglio se un po' robusto, si vestiva da sirena. I ragazzi del primo equipaggio sono amici ancora oggi, ma allora erano come una famiglia.
Ricorda l’ultimo incontro con zio Gagarin?
Ricordo molto bene l'ultima volta che è stato qui a Gzhatsk. Era il 5 dicembre 1967, il giorno della Costituzione. Con gli amici del paese organizzarono una battuta di caccia all'alce. E io mi misi a scongiurarlo: “Dai zio, prendimi con te, mi piacerebbe tanto venire a vedere”. Acconsentì. Una parte dei cacciatori doveva scovare e inseguire l'animale, mentre noi dovevamo stare all'erta e pronti a sparare. Dovevamo starcene zitti e fermi per non farci scoprire dall'alce e sparargli quando sarebbe venuto nella nostra direzione. E invece lo zio era un tipo vivace, faceva fatica a stare fermo, e io non ero da meno. Abbiamo mandato all'aria tutta la battuta di caccia, perché ce la ridevamo, ci rotolavamo nella neve e le nostre risate si sentivano per tutto il bosco. Ovviamente non siamo riusciti a prendere nessun animale. Quando siamo tornati a casa, la tavola era già imbandita a festa. Siamo stati tutti insieme quasi fino a mattina, a raccontare barzellette, a cantare.
E alla fine quella fu l'ultima volta che vidi lo zio. Alla mattina prima di andarsene, mi abbracciò, e disse a mia madre: “Ascolta, Zojushka, tutti mi chiedono qualcosa: aiuta quello, aiuta questo. E tu invece non mi hai mai chiesto niente. Anche se io vedo che fai fatica”. “Cosa dici Yuri? Vivo come vivono tutti, - gli rispose la mamma. - Di cosa ti preoccupi? Va tutto bene. Lavoro ne abbiamo, e una casa da mandare avanti anche”. Non è che fosse offeso, però gli dispiaceva che i parenti non lo andassero a trovare tanto spesso alla Città delle Stelle. Ma come si faceva? Tutti lavoravano, avevano i loro problemi. Non c'era poi tanto tempo di andare in giro.
Il 27 marzo del 1968 Yuri Alekseevich rimase ucciso in un incidente aereo. Come venne vissuta questa notizia in famiglia?
Quando avvenne la tragedia, fu una cosa talmente atroce e assurda che all'inizio sembrava che tutta la vita dovesse finire. Molte cose giravano attorno a lui. La madre di Yuri, Anna Timofeevna, continuava a ripetere: “Cammino, il sole splende, e penso: ma come fa a splendere ancora se lui invece non c'è più?”. Dicono che il tempo curi ogni male. Non è vero. Quanti anni sono passati (piange) e fa ancora tanto male.
Tutti i diritti riservati da Rossiyskaya Gazeta
Iscriviti
alla nostra newsletter!
Ricevi il meglio delle nostre storie ogni settimana direttamente sulla tua email