Domodedovo, la sindrome post attentato

Foto Ria Novosti

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L'opinione degli esperti sulle conseguenze della strage kamikaze all'aeroporto moscovita sulla psiche dei russi. Vincerà la paura o l’indifferenza?

I danni collaterali dell’attentato suicida di Domodedovo si faranno sentire ancora a lungo in Russia. Anche se il Comitato d'indagine della Federazione Russa ha annunciato il risultato definitivo dell'inchiesta sull'attentato del 24 gennaio 2011 all'aeroportodi Mosca. Stando ai risultati delle indagini, il kamikaze sarebbe un ventenne proveniente dal Caucaso Settentrionale. Gli inquirenti ritengono che l'attentato fosse rivolto in particolar modo contro cittadini stranieri, motivo per cui sarebbe stata scelta la sala degli arrivi internazionali dello scalo come luogo dell'esplosione.

 

Nonostante questo, le vittime dell'esplosione sono per la maggior parte di cittadinanza russa. Così, secondo gli psicologi, migliaia di russi hanno subito un forte trauma psicologico, che farà sentire le proprie conseguenze ancora a lungo. Anche coloro che non erano presenti all'esplosione in prima persona sono vittime di questo stress. In un'inchiesta sociologica si legge che più dell'80% dei russi vive col timore di restare vittima di azioni terroristiche. Tuttavia c'è anche un'altra tendenza rilevata dagli psicologi: le notizie riguardo ad attentati di matrice terroristica lasciano i russi molto più indifferenti di prima.

Secondo il direttore del Centro di Psichiatria Sociale e Forense Serbskij di Mosca, Zurab Kekelidze, la “reazione al dolore” di chi ha perso i propri cari in un attentato si evolve in tre fasi. Il primo mese successivo al trauma è caratterizzato dalla negazione: la persona semplicemente si rifiuta di constatare la morte del proprio caro, “parla del defunto come se fosse vivo”.Dopodiché, per un periodo che varia da un mese a un anno circa, si passa attraverso la fase della “disorganizzazione”: si disgregano tutte le relazioni che univano la persona al defunto. In alcuni casi, questa fase può essere accompagnata dal degrado della personalità e da un abbassamento della posizione sociale.Infine, si passa alla fase della riorganizzazione: ci si abitua a vivere senza la persona cara e si comincia a ricostruire la propria esistenza. Zurab Kekelidze è convinto che “non si può evitare di vivere il proprio dolore”: gli specialisti possono al massimo aiutare a superare gli effetti collaterali dello stress, ulcere, diabete, malattie della pelle.

Anche chi è rimasto ferito a causa di un attentato o chi è semplicemente stato testimone viene sottoposto a uno stress particolare. Come spiega Zurab Kekelidze, i primi tre giorni sono caratterizzati da una “reazione acuta”: eccitazione o torpore. Molti soffrono di insonnia, perdita di appetito e di “ricordi molto vividi dell'accaduto”. I testimoni oculari di un attentato, di solito, si rivolgono allo psicologo dopo 4 o 5 giorni, quando i sintomi arrivano al massimo della loro intensità. “Anche le persone che non sono state danneggiate fisicamente dall'esplosione si rivolgono ai terapisti. Quelli che dicono che la salute non ne risente, dovrebbero essere i primi a rivolgersi a un medico”, avverte Kekelidze.

Alcuni decidono consciamente di nascondere agli altri la loro presenza sul luogo dell'attentato: hanno paura di “essere bollati come persone dalla psiche traumatizzata”, dato che l'opinione che sia impossibile sopravvivere a un attentato e restare normali è molto diffusa. Ma gli psicologi non la pensano così: “rielaborare” il trauma è possibile. Ad esempio, le persone che hanno avuto esperienza di esplosioni o incendi, dopo qualche anno, “raccontavano ridendo di come si sono trovati a correre per strada seminudi”.

Ma lo stress può colpire anche chi non è rimasto coinvolto di persona nell'attentato. Secondo i dati del Centro Panrusso per lo studio dell'opinione pubblica (Vciom), dopo gli attentati dell'anno scorso alla metropolitana di Mosca, l'82% dei russi temeva di rimanere vittima del terrorismo (i risultati dell'inchiesta legata all'attentato al Domodedovo, non sono ancora stati elaborati). La stessa percentuale si riscontra anche nel periodo successivo agli attentati a diversi edifici di Mosca nell'autunno del 1999 (80%), mentre in seguito, fino al 2009, il livello della paura, si abbassò gradualmente, fino al 61%, per poi alzarsi di nuovo. Quelli che hanno più paura di restare vittime di atti terroristici sono gli abitanti di Mosca e delle regioni meridionali della Russia e i pensionati. Un terzo di loro (36%) ha fiducia nelle capacità delle istituzioni di difendere i cittadini da nuovi attentati.

Nonostante questo, gli psicologi fanno notare una nuova tendenza nel comportamento dei russi. Come ha spiegato al giornale Novye Izvestija Madrudin Magomed-Eminov, docente della cattedra di Psicologia dell'emergenza alla facoltà di Psicologia dell'Università Statale di Mosca (Mgu), la reazione della società alle notizie di attentati terroristici è sempre più caratterizzatadall'indifferenza. “Secondo i risultati di un'indagine svolta dai nostri collaboratori a marzo, in seguito agli attentati in metropolitana, il 60-70% dei moscoviti non dimostrava interesse per le notizie connesse agli attentati, cercava di non dare valore a questi avvenimenti - racconta il professor Magomed-Eminov. -Anche se non si può affermare che queste persone non avessero paura degli attentati, è stato notato che le notizie al riguardo non scatenavano in loro alcuna reazione emotiva. Negli anni '90, solo il 30% degli intervistati reagiva in questo modo. L'assenza di emozioni è una reazione difensiva normale in condizioni di minaccia terroristica costante. Negli anni '90 le persone percepivano il terrorismo come un evento eccezionale. Adesso, rendendosi conto che gli attentati continueranno a esserci, voltano le spalle agli eventi per non sentire la propria impotenza”.

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