Il premio de Beauvoir alla Ulitskaya

La scrittrice russa, molto nota in Francia, ha ritirato a Parigi un importante riconoscimento letterario nel nome della democrazia. Con un pensiero a Khodorkovsky.

La scrittrice russa Ludmila Ulitskaya ha ricevuto il 10 gennaio scorso, a Parigi, il premio Simone de Beauvoir per la libertà delle donne “per l’acuto senso di democrazia e di giustizia che traspare dalle sue opere", come si legge nella motivazione della giuria. Russia Oggi ha colto l'occasione per chiederle le sue impressioni.

Che significato ha per lei il premio Simone de Beauvoir?

Tutti i premi letterari hanno  il merito di avvicinare l’autore ai propri lettori. Simone de Beauvoir è stata capace di percepire qualcosa che ha poi avuto un ruolo nel processo di evoluzione sociale, la situazione è profondamente cambiata, abbiamo assistito a una femminilizzazione della società, specialmente in Russia dove, ad esempio, la maggioranza delle persone con un’istruzione superiore sono oggi donne… Ma io non sono femminista, la mia religione è un’altra.

Cosa ne pensa di come le sue opere sono accolte in Francia e quali sono gli autori contemporanei francesi che attirano di più il suo interesse?

Il pubblico francese è notevole, qui si legge molto. Io vedo la Francia come il Paese più colto d’Europa, anche se, qui come dappertutto, il livello culturale è in calo. Quanto alla letteratura contemporanea, a dire il vero non la seguo molto.

In Russia ha appena pubblicato la sua corrispondenza con Michail Khodorkovsky…

Quando vi è un conflitto tra Stato e individuo io prendo sempre, sistematicamente, le parti dell’individuo.  Per quanto riguarda Khodorkovsky, si è trattato semplicemente di ridargli la possibilità di esprimersi e di essere ascoltato… Avevo sentito parlare molto di lui nei luoghi più remoti della Russia, dove si era occupato del finanziamento di ospedali, istituti scolastici, cose di cui avrebbe dovuto occuparsi lo Stato. Eravamo diversi in tutto: lui faceva parte del Komsomol, sosteneva il partito comunista, al momento dello smantellamento ha fatto fortuna e si è spartito la torta con altri. Proprio partendo da queste domande ha avuto inizio la nostra corrispondenza. Lui mi ha risposto di essere stato motivato dalla volontà che il suo Paese diventasse forte e ricco. È un uomo d’affari straordinario, è brillante, e mi rendo conto che a un certo punto la possibilità di aiutare gli altri gli ha dato molte soddisfazioni. La nostra corrispondenza mi ha fatto cambiare idea su una cosa: Khodorkovsky sosteneva che il nostro fosse uno Stato debole e la cosa mi sorprendeva. Poi ho capito che in effetti la repressione e la pressione sui mass-media sono veramente segnali di debolezza per uno Stato.

Sta lavorando a un nuovo libro?

In Russia sono appena stati pubblicati due miei libri, che usciranno in Francia in autunno. Ora, nell'immediato, non ho nessuna voglia di scrivere!

Questo lo ha già affermato altre volte e poi ha scritto i suoi romanzi più lunghi.

Sì, è vero, non si sa mai. Ma esistono due tipi di corridori, i velocisti e quelli che percorrono distanze più lunghe. Nel mio caso, la mia pista ideale è la novella, ma capita che per affrontare certi argomenti siano necessarie forme letterarie più lunghe, e allora mi dico, mah, mi ci vorranno 200 pagine, e poi mi ritrovo con un lunghissimo romanzo e ne esco completamente svuotata.

Non pensa di scrivere qualcosa su Khodorkovsky?

Sarebbe un eroe eccellente, ma preferirei un medico o un artista.

Lei ha studiato e ha lavorato a lungo nel campo della genetica. Qual è il suo punto di vista sull’evoluzione umana?

Dal punto di vista genetico l'uomo è cambiato molto, nell'ultimo secolo abbiamo assistito a un vero e proprio balzo in avanti in campo evolutivo e non è facile immaginare come sarà la situazione tra cinquant’anni. In epoca sovietica è stata realizzata una selezione che ha eliminato le menti più brillanti, i lavoratori più capaci, quelli che dimostravano spirito d’iniziativa. Quelli che ne sono scampati, per sopravvivere, hanno dovuto fare di tutto per passare inosservati. C’è una paura genetica che si è trasmessa di generazione in generazione.

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