Dolce vita dolce dacia

La dacia - una vera boccata d'ossigeno per le famiglie russe.Foto di Legion Media

La dacia - una vera boccata d'ossigeno per le famiglie russe.Foto di Legion Media

Incontro spesso la mia vicina di dacia, l'ex insegnante Clara Andreevna. Entrambe viviamo in Via degli Insegnanti. È una vivace nonnina di settant’ anni, una specie di sceriffo popolare che del nostro paese conosce tutto, tutti e tutto di tutti. Sapeva perfino che il mio terreno era dotato di una linea telefonica che - prima di conoscerla - ignoravo di avere. Sono nuova del paese, oltretutto straniera: così, ad ogni incontro, si diverte a raccontarmi la sua vita e quella dei nostri altri compaesani.

La simpatica Clara Andreevna, una volta mi ha raccontato come, ormai vent’anni fa, nella cucina della sua "kummunalka", l'appartamento in coabitazione dove abitava a Mosca, ha passato giorni interi a parlare con figlia e coinquilini della tanto attesa novità che riguardava il marito: infatti costui, dopo aver lavorato tutta la vita come laboratorista presso la facoltà di Fisica dell'Università Statale MGU di Mosca e aver discusso la tesi per la libera docenza, aveva finalmente ricevuto dallo Stato l'appezzamento di sei centesimi di ettaro spettante a chi è diventato Сandidato in Scienze. Ben dieci anni aveva aspettato il proprio turno, ma ne era valsa la pena: ora anche loro avevano il loro terreno e presto avrebbero avuto la loro piccola dacia con il loro orto. Finalmente, come tutte le persone rispettabili, anche loro avrebbero avuto dove passare i fine settimana durante l'estate, dove coltivare le fragole, i lamponi, i cetrioli, e preparare le conserve, sfruttando anche il genero per la raccolta delle patate. Quante idee su come, quando e con che cosa costruire quella casetta, che Clara Andreevna sognava da tanto, e per la quale aveva negli anni accumulato sul balcone di casa tutto ciò che sarebbe potuto tornare utile per costruirla ed arredarla.

È probabile che anch’io sia stata contagiata dalla “daciamania” proprio in quegli anni, l'inizio degli anni novanta, che hanno coinciso con il periodo dei miei studi universitari, da un'altra altrettanto entusiasta "Clara Andreevna" - e allora erano molte.

Come è poi risultato chiaro, tutti i russi soffrono di questa "daciamania", che ha cominciato a diffondersi ancora in epoca sovietica e da allora viene trasmessa di generazione in generazione. Questo infido morbo si manifesta già durante l'infanzia, con una particolare e apparentemente sana propensione per la natura. Durante l'adolescenza i sintomi diventano più intensi e si manifestano con riunioni tra amici nelle dacie dei genitori. Poi, i ragazzi e le ragazze russe crescono, trovano lavoro, mettono su famiglia e, improvvisamente, capiscono che avere un appartamento è un bene, avere una macchina dà soddisfazione, ma che senza una casetta in campagna la vita è semplicemente impossibile. E così, come aveva fatto a suo tempo Clara Andreevna, iniziano ad accumulare, ora non più oggetti utili, ma risparmi in danaro per realizzare il loro sogno.

Oggi, infatti, la "daciamania" non è meno contagiosa che in passato ma è sicuramente più dispendiosa. I terreni non vengono più assegnati, ma venduti; avere un orto sembrerebbe non avere senso, quando la varietà di prodotti nei negozi cittadini è tale da soddisfare anche i gusti più esotici. Anche le ore di traffico verso le campagne dei venerdì sera e quelle della domenica sera, durante i rientri in città, sono molto più estenuanti degli scomodi viaggi su strade sconnesse ma libere del passato.

Nonostante tutto questo, la dacia con l'orto continua ad essere necessaria ai russi più dell'ossigeno stesso. Razionalmente non è spiegabile, bisogna essere malati di daciamania per comprendere: nel mio caso, forse perché sono straniera, il virus si è manifestato, ed è stato metabolizzato solo dopo molti anni.

In passato, quando mi fermavo a riflettere sulla cosiddetta fortuna di chi aveva ricevuto un fazzoletto di terra lontano dalla sua abitazione, generalmente una frazione di un immenso campo incolto, con un solo pozzo su 20 chilometri quadrati di territorio, senza elettricità - la costruzione delle centraline elettriche era solo nei piani regolatori futuri - senza strade per raggiungerlo, quei pochi metri quadrati di terreno mi sembravano più una punizione che una gioia, e mi riusciva davvero difficile partecipare all'euforia della Clara Andreevna di turno.

I tradizionali fine settimana alla dacia con gli amici sono stati spesso per me un dovere per rispettare le usanze locali più che un momento di vero relax. Giornate di tormento e non certo di riposo; le casette erano umide anche in estate, non c'era quasi mai dove lavarsi, tutt'intorno una gran confusione derivante dall'accumulo di tutto ciò che i proprietari non avevano avuto il coraggio di gettar via. Un buco nel terreno in una casupola male odorante, veniva chiamato, delicatamente, "il bagno in cortile". Il romanticismo di un samovar fumante e dei tè notturni sotto la silenziosa volta celeste della campagna, venivano cancellati dal desiderio impellente di ritornare tra le quattro mura del mio piccolo, rilassante, sicuro ed ordinato appartamento cittadino.

Ora, invece vivo in una dacia. Anch'io, come tutti, ho comprato il mio terreno e costruito una casetta con il bagno in casa; coltivo il mio orticello, le mie fragole i miei lamponi e il mio basilico. Ed ora sono proprio sicura che, se dovesse cascare il mondo, scoppiare un'altra crisi o addirittura una rivoluzione, io chiuderò il mio cancello e mi dimenticherò proprio di tutto. Nel mio piccolo regno di pace non farò entrare nessuno, se non Clara Andreevna, per discutere su quali pomodori sarà meglio piantare la prossima stagione.

 



Foto di Vostock Photo et Anis Boroznova

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