Adozioni: “In tanti si arrendono. Serve tenacia”

Dopo Stati Uniti e Spagna, l’Italia è il terzo Paese per adozionidalla Russia. Foto di Vostock-photo

Dopo Stati Uniti e Spagna, l’Italia è il terzo Paese per adozionidalla Russia. Foto di Vostock-photo

Come un raggio di sole, da gennaio, illumina la vita di una coppia del Centro-Italia, 30enni liberi professionisti, sposati da 7 anni, senza figli. Il bimbo adottato, 3 anni di vita passati in un istituto nel territorio dell’Habarovsk, dove il fiume Amur segna il confine tra Russia, Mongolia e Cina, ha fatto dimenticare ai neogenitori il lungo, e a tratti doloroso, percorso, iniziato a gennaio 2007, prima cioè dei nuovi accordi Italia-Russia sulle adozioni. Parla la mamma e l’emozione si taglia a fette.

Quali e quante difficoltà avete incontrato per l’adozione?

Tantissime, come le porte che ci hanno sbattuto in faccia, in Prefettura e in Procura. Tra gli ostacoli affrontati, per esempio, il medico che si rifiutava di compilare il modulo arrivato dalla Russia; i mesi che possono passare per prenotare le visite ospedaliere; l’assenza dei timbri a norma richiesti dalla Federazione negli uffici pubblici della nostra città, che non è né Roma né Milano. Così abbiamo perso due mesi per fare i documenti, mattine intere senza poter andare a lavorare e, alla fine, il timbro che serviva lo abbiamo fatto fare noi. Paradossalmente è stato più difficile per noi portare avanti le pratiche in Italia. E’ vero che in Russia pretendono timbri messi in un certo modo o di un certo tipo, vogliono la cornice 9X9, ma è giusto che sia così, d’altronde in ballo c’è il futuro di un minore. Qui nessuno sembrava capire; neanche il medico che ha studiato anni il cuore mostrava un briciolo di comprensione. Poi, una volta giunto l’ok per i documenti, da agosto 2008, la chiamata da Mosca è finalmente arrivata ad aprile 2009.

Com’è stato il primo incontro con il vostro futuro figlio?

E’ successo tutto all’improvviso. Io e mio marito eravamo nella stanza del direttore dell’istituto, senza interprete, ed ecco che è entrato un bimbo, molto più piccolo dei suoi 2 anni. Chiedevo: “E’ lui?”. Nessuno mi rispondeva e d’istinto sono corsa ad abbracciarlo. Non sapevo se era il nostro, ma sentivo che lo era. Tremava, ma poi si è subito tranquillizzato. Subito dopo abbiamo avuto la possibilità di incontrarlo per tre giorni, per un’ora. La sua cartella clinica era spaventosa, riportava gravi ritardi fisici e psichici, ma sapevamo che era sano e la certezza è arrivata consultando telefonicamente un pediatra di fiducia in Italia. Solo dopo ci siamo accorti che quasi tutti i piccoli in istituto, inspiegabilmente, avevano quadri clinici critici. L’encefalopatia è la cosa più leggera che può capitare. D’altronde in Russia sono molto severi: se un bimbo a 3 anni non dice le 200 parole che dovrebbe conoscere, è considerato ritardato. E questo spaventa i futuri genitori.

Da quell’incontro sono però trascorsi ancora sette mesi prima di riuscire a portare il bimbo con voi in Italia.

In realtà sarebbe dovuto passare solo un mese dal primo incontro col nostro bambino. Siamo tornati in Italia, senza di lui, con questa convinzione. Invece da maggio, la partenza per la Russia è slittata fino a dicembre: è stato il periodo più brutto della nostra vita. Dovevamo fare sette visite mediche ciascuno, io e mio marito, dall’oncologica alla dermatologica, ma le abbiamo dovute ripetere cinque volte, e ogni volta era un’impresa titanica, perché i documenti da mandare in Russia avevano una validità di due mesi, ma per prepararli ci volevano 20 giorni. Inoltre, qui in Italia gli addetti alle pratiche che incontravamo erano incompetenti. Io giravo gli uffici mostrando la foto di quel bimbo che mi aspettava dall’altra parte dell’Europa supplicando un po’ di comprensione, al di là della fredda burocrazia. Altro tempo è trascorso quando il giudice russo è andato in ferie per oltre un mese; in più, per due mesi, gli istituti russi sono stati messi in quarantena per l’influenza A. Solo la nostra forza di coppia e di persone ci ha permesso di andare avanti. Per sette mesi ci siamo annullati, ma ora che c’è stato il lieto fine, siamo pronti a un’altra adozione, magari tra un paio d’anni. Abbiamo già iniziato a informarci per ricominciare l’iter.

Un consiglio da dare a una coppia che vuole intraprendere questa strada?

Non credo che la trafila sia cambiata con le nuove normative, per questo mi sento di dire che bisogna essere tenaci. Tenaci, testardi e combattivi per non arrendersi alle tante difficoltà, che, come nel nostro caso, si possono incontrare soprattutto qui in Italia. Purtroppo, ho visto tante coppie che a metà strada sono state costrette ad arrendersi, anche per le alte spese da affrontare. Anzi, chiederei alle autorità di agevolare i costi, almeno per coloro che non possono permettersi certi esborsi. Sono tanti i bimbi in istituto che aspettano una famiglia.

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