Il Paese dei grandi freddi alle prese con il gran caldo

Il caldo continua a battere tutti i record in Russia.Foto di ITAR-Tass

Il caldo continua a battere tutti i record in Russia.Foto di ITAR-Tass

Cosa accade quando una massa di aria bollente incombe a lungo sul Paese dei grandi freddi? Storia di un incontro atipico carico di conseguenze.

Con lo stato d’allerta decretato in 23 regioni russe, la siccità del 2010 si è già meritata di passare alla storia. Con temperature che sfiorano i 40 gradi all’ombra, il caldo la fa da padrone sulle testate giornalistiche di tutta la Russia che registrano temperature da record sempre maggiori. Sempre più numerosi sono gli incendi intorno a Mosca, invasa dal fumo rilasciato dalle torbiere in fiamme. Nella repubblica autonoma della Sacha-Jacuzia, situata nella Siberia orientale, sono andati in fumo più di 1200 ettari di foresta, mentre a fine giugno nella regione di Rostov-sul-Don un incendio, alimentato dal forte vento, ha raso al suolo 700 ettari. Altro fenomeno inquietante: cicloni tropicali potrebbero minacciare zone in cui non si sono mai verificati prima, come la Russia centrale.

L’ondata di panico partita dai ministeri, che si dichiarano preoccupati per le ricadute economiche di un fenomeno meteorologico così anomalo, di certo non rassicura i milioni di cittadini russi che, dalla Siberia a Mosca passando per gli Urali, stanno soffrendo il gran caldo. La popolazione fa il possibile per trovare un po’ di fresco, considerato che la corsa alle località balneari sta avendo conseguenze tragiche: ai record delle temperature si sono aggiunti quelli della mortalità per incidenti acquatici. Nella sola giornata del 19 luglio 71 persone sono morte per annegamento, mentre 274 avevano perso la vita in circostanze simili durante la settimana precedente. Tragico risultato della balneazione in zone dove non esistono controlli, a cui va aggiunto lo stato di ebbrezza di molti bagnanti, primo responsabile di questo genere di incidenti.

Foto di Anis Boroznova



Siccità ed economia

Il dilungarsi dell’ondata di caldo avrà di fatto profonde ricadute sull’economia: i raccolti di grano sono stati gravemente danneggiati. Stando alle stime del ministro russo dell’Agricoltura Elena Skrynnik, 10 milioni di ettari di colture, cioè una superficie superiore a quella del Portogallo, sono andati distrutti, danno che potrebbe ripercuotersi sull’allevamento. Un duro colpo, proprio ora che la Russia era appena diventata il primo produttore mondiale di grano superando gli Stati Uniti. Le esportazioni sono in pericolo. “È facile uscire dal mercato dell’esportazione, ma è molto più difficile rientrarvi. Sarebbe increscioso perdere le opportunità uniche conquistate così duramente negli ultimi cinque anni”, ha osservato Pavel Skurikhin, presidente dell’Associazione nazionale dei produttori di cereali russi, che teme che il prezzo del grano si moltiplichi per 1,5-2.

Ulteriore ripercussione: la diminuzione dei raccolti potrebbe alimentare l’inflazione, piaga che incombe sull’economia russa e alla quale la crisi mondiale aveva messo un freno. L’avvertimento di Andrei Klepach, vice ministro russo per lo Sviluppo economico, è chiaro: “Se i raccolti saranno inferiori (agli 80-85 milioni di tonnellate, ndr), le cifre relative all’inflazione di agosto non ne subiranno le conseguenze, ma quelle del periodo tra settembre e novembre sì”.

Il surriscaldamento globale

Greenpeace ha dato l’allarme. “L’ondata di calore degli ultimi due mesi è una conseguenza dei cambiamenti climatici e i nostri esperti sono in grado di dimostrarlo” , si legge in un comunicato pubblicato il 21 luglio che prosegue: “Il governo russo dovrà prendere provvedimenti per combattere gli effetti dei mutamenti climatici”. Una frecciata diretta al vertice del potere: solo qualche giorno prima il ministro russo dell’Economia Serghei Shmatko aveva dichiarato a Ekaterinburg (negli Urali) di “essere contrario a un utilizzo massiccio” delle fonti di energia rinnovabile in Russia.

Un riferimento anche al cosiddetto pshik constatato dal presidente Medvedev, ossia al fallimento dei negoziati del vertice sul clima di Copenaghen, che aveva rassicurato il governo il quale dimostra un certo lassismo in questo ambito. È vero che il capo di Stato si era impegnato, lo scorso anno, a ridurre entro il 2020 le emissioni di gas serra del Paese del 10-15% rispetto ai livelli del 1990. Ma sono molti gli esperti che hanno fatto notare che tali emissioni erano fortemente diminuite in modo spontaneo in seguito al crollo dell’Urss e che pertanto le cifre stimate corrisponderebbero, in realtà, a un aumento del 30% rispetto al livello attuale.

In ultima analisi, la grande ondata di calore in corso potrebbe avere un effetto positivo spingendo Mosca a contribuire attivamente agli sforzi internazionali nell’ambito della lotta contro il riscaldamento globale.

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