Una boccata d’ossigeno per l’Ucraina

Il presidente ucraino Viktor Yanukovich.Foto di Grigory Sysoev, ITAR-TASS

Il presidente ucraino Viktor Yanukovich.Foto di Grigory Sysoev, ITAR-TASS

A Kiev divampano le reazioni all’accordo sottoscritto il 21 aprile a Kharkiv tra il presidente russo Dmitri Medvedev e il suo omologo ucraino Viktor Yanukovich, in base al quale la Russia concede all’Ucraina uno sconto significativo sulle sue forniture di gas in cambio di un’estensione fino al 2042 del permesso per la sua flotta del Mar Nero di rimanere nel porto di Sebastopoli.

L'opposizione ha già etichettato l’accordo il “Patto Medvedev-Yanukovich”, nell’ovvio tentativo di creare nell’immaginario collettivo un’associazione d’idee negativa con il famigerato “Patto Molotov-Ribbentrop” tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista. Quanti criticano il nuovo presidente ucraino Yanukovich, che ha iniziato il suo mandato a febbraio, gli riservano critiche pungenti e velenose facendo anche ricorso a stereotipi ideologici e a tesi poco convincenti.

Anche la stampa straniera è colpevole: ha più volte definito Yanukovich “un politico filo-russo” e non dimentica mai di ricordare ai lettori che Mosca lo aveva appoggiato durante la sua infruttuosa campagna elettorale in vista delle presidenziali del 2004 e che il supporto del Cremlino aveva di fatto avuto un ruolo di primo piano nella sua sconfitta. I giornalisti, in pratica, scrivono quasi come se Kiev fosse tornata definitivamente nell’orbita di Mosca.

Più di una volta ho avuto occasione di scrivere che è molto discutibile sostenere che Yanukovich abbia simpatie filorusse, se non altro perché i vertici del partito politico di cui è leader, il Partito delle Regioni, sono in buona parte proprietari delle più importanti società carbonifere, metallurgiche, minerarie e chimiche dell’Ucraina e intrattengono rapporti molto più stretti con l’Europa e con l’Asia di quanti non ne abbiano con la Russia.

Al tempo stesso, tuttavia, queste aziende non esisterebbero nemmeno se non ci fosse il gas russo: il prezzo iniziale del gas – concordato da Vladimir Putin e dall’allora primo ministro Yulia Tymoshenko nel gennaio 2009 – era per loro estremamente caro. La Tymoshenko non era poi mai stata in grado di spiegare con chiarezza perché il gas russo paradossalmente costasse all’Ucraina circa 50 dollari in più per mille metri cubi rispetto a quanto, per esempio, costa alla Germania, che è molto più lontana dai confini russi.

Adesso che la Tymoshenko è all’opposizione accusa Yanukovich di aver messo gli interessi e gli affari degli oligarchi russi al di sopra degli interessi nazionali del Paese. Ma c’è anche un’altra ragione della quale l’opposizione non parla: le aziende di proprietà di questi noti oligarchi danno lavoro a milioni di persone che resterebbero disoccupate e del tutto prive di mezzi di sussistenza se le aziende per le quali lavorano dovessero fermare la produzione o addirittura fallire. Oltretutto, alcuni di questi impianti sono l’unica fonte di reddito per intere città: se chiudessero i battenti, insieme a loro morirebbero anche esse.

L’economia ucraina è sull’orlo del tracollo: il Paese soffre di un calo di produzione e di una forte contrazione del gettito fiscale. Ha un immenso deficit di bilancio, un enorme indebitamento, le casse del Tesoro sono vuote e il tasso di povertà è altissimo. L’accordo ”do ut des” che permette al governo ucraino di risparmiare fino a quattro miliardi di dollari l’anno è una boccata d’ossigeno per l’agonizzante economia ucraina. Senza, l’Ucraina non avrebbe neppure potuto presentare al Fondo Monetario Internazionale un bilancio nazionale attendibile e riprendere la collaborazione con quell’istituzione. Adesso, invece, ha i requisiti per poter ricevere altri sei o sette miliardi di dollari quest’anno e fino a 20 su un più lungo periodo.

Alla luce di tutto ciò, pertanto, è chiaro che Yanukovich non avesse altra alternativa che firmare l’accordo. In realtà, la domanda che si fa la gente è un’altra: perché la controparte russa ha accettato improvvisamente di effettuare concessioni del valore di 40 miliardi di dollari in sconti sul gas entro i prossimi 10 anni in cambio dell’estensione per 25 anni della permanenza della sua flotta del Mar Nero a Sebastopoli tenuto conto che quella flotta ha ormai perso buona parte della sua importanza strategica e militare? Con quella cifra, infatti, la Russia avrebbe tranquillamente potuto costruire una nuova base per la flotta sulla costa russa del Mar Nero, ammodernare le sue navi e arricchire i suoi funzionari.

Potrebbero esserci parecchie valide motivazioni dietro alla generosità russa. Il Cremlino probabilmente si è reso conto che i vecchi prezzi del proprio gas erano esagerati, che avrebbero inevitabilmente comportato un ritardo dei pagamenti e che si sarebbe potuta scatenare una nuova “guerra del gas” tra Russia e Ucraina che sarebbe costata miliardi di dollari di mancato gettito per la Russia e che in definitiva avrebbe potuto portare a furiose accuse di “ricatto energetico russo” da parte dei clienti europei.

Ma ci sono anche fattori politici in grado di spiegare l’accordo: le elezioni presidenziali russe si terranno soltanto tra due anni e, a prescindere dal fatto che il partito al governo scelga e nomini presidente Medvedev o Putin, entrambi potranno vantare in campagna elettorale che la bandiera del Paese e quella della Marina con la croce di Sant’Andrea continueranno a sventolare sulla baia di Sebastopoli per un altro quarto di secolo.

Oltretutto Putin, a giudicare dalle sue recenti dichiarazioni alla conferenza stampa di lunedì, sta giocando una battaglia politica complessa e astuta. Da un lato si sta presentando come il custode degli interessi energetici dell’Unione Europea, suggerendo che è grazie a lui che è stato raggiunto un accordo che assicura per i prossimi 10 anni un transito stabile del gas russo sul territorio ucraino.

Al tempo stesso, però, Putin usa nei confronti degli europei tattiche che mirano a intimorirli lasciando intendere che, dato che l’opposizione ucraina è pronta a una battaglia politica senza regole e minaccia di abrogare l’accordo sul gas qualora arrivasse al governo, è giunto il momento di costruire il gasdotto South Stream girando alla larga dal territorio ucraino.

Secondo i sondaggi, la società ucraina è spaccata sull’accordo firmato da Mosca e Kiev. Stando a un‘indagine condotta dal “Research & Branding Group”, il 53 per cento degli intervistati ha un’opinione in linea generale positiva sull’accordo e solo il 32 per cento ne ha una negativa.

Esiste tuttavia un’enorme differenza tra l’essere semplicemente contrari all’accordo e il prendere di fatto parte alle proteste di massa, come l’opposizione sta esortando a fare. Quando la Tymoshenko e altri leader dell’opposizione erano al governo, la loro reputazione è peggiorata così tanto che pare improbabile che adesso abbiano ancora il carisma necessario per preparare un’altra Rivoluzione Arancione. Sarebbe ancora più difficile ora che buona parte della popolazione è disposta a dare a Yanukovich una chance, sperando che riesca a porre fine alla crisi e a rimettere in carreggiata il Paese, così da indirizzarlo verso la crescita economica e le riforme politiche.

Se, però, tra sei-dodici mesi non sarà cambiato nulla e la popolazione non constaterà miglioramenti concreti nei propri standard di vita, allora Yanukovich dovrà aspettarsi seri guai.

Evgeny Kiselyov è analista politico e conduce un talk show politico alla Inter Television ucraina

Articolo originariamente pubblicato su The Moscow Times

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