Storia vera di Daniel, l’orfano ebreo che diventò frate

Ludmila Ulitskaya,  premio Grinzane Cavour 2008.  Foto di Natalia Kolesnikova, Photoxpress

Ludmila Ulitskaya, premio Grinzane Cavour 2008. Foto di Natalia Kolesnikova, Photoxpress

È una relazione pericolosa, quella tra biografia e romanzo, perché di solito seguono strade diverse: una la ricerca di prove testimoniali, l’altra la libertà del pensiero creativo. Ma nel nuovo libro di Ludmila Ulitskaya “Daniel Stein, traduttore” (ed. Bompiani, 558 pagine, € 22,00), biografia e romanzo sono due compagni dello stesso viaggio.

Conoscere una persona di eccezionale carisma è sempre una grande avventura dell’anima, se poi si è scrittori è inevitabile il desiderio di trasformare l’esperienza in un libro per condividerla con i lettori. È quello che è accaduto a Ludmila Ulitskaya quando ha incontrato padre Osvald Daniel Rufeisen.

La scrittrice russa, notissima a livello internazionale e molto apprezzata anche in Italia, tanto che nel 2008 il suo romanzo “Sinceramente vostro, Surik” vinse il premio Grinzane Cavour, conduce una personale battaglia contro l’intolleranza e l’ignoranza: ha iniziato a scrivere romanzi dopo i quarant’anni, dopo aver dovuto interrompere la sua carriera di ricercatrice di genetica presso l’Università Lomonosov di Mosca perché accusata di diffondere libri proibiti.

Istintivamente affine a quanti si battono per valori superiori e universali, rimase profondamente colpita da Rufeisen quando lo incontrò in Russia nel 1992 in occasione del cinquantenario dell’attacco nazista al ghetto di Emsk. In 300 si salvarono proprio grazie a Rufeisen, allora giovane orfano assoldato come interprete dai tedeschi che ignoravano fosse ebreo. Li avvertì dell’attacco, ma fu scoperto e arrestato. Riuscì a evadere fortunosamente e trovò rifugio in un convento di suore dove si convertì al cattolicesimo. Persuasosi di essere stato salvato per dedicare agli altri la sua nuova vita, si fece frate carmelitano e dopo la guerra si trasferì in Israele per divulgare l’ecumenismo profetico della chiesa giudaico-cristiana delle origini.

La storia di padre Daniel, morto nel 1995, era già tanto romanzesca da fornire materiale strepitoso per delineare non solo un’indimenticabile figura di protagonista, ma inedite prospettive sui difficili intrecci della questione mediorientale. Tuttavia la Ulitskaya aveva in mente – e in cuore – qualcosa di più: raccontare la forza di una spiritualità onnicomprensiva, antica come la creazione, genuina come una fonte. «Era un uomo che viveva alla presenza di Dio», scrive l’autrice ricordando l’ingresso di padre Daniel in casa sua, quando riempì all’improvviso tutto lo spazio intorno a sé nonostante l’aspetto mingherlino e dimesso. Da allora ha cercato di raccogliere più informazioni che potesse su di lui, inanellando corrispondenze e viaggi per interpellare chi lo aveva conosciuto e da esse ha tratto ispirazione per un romanzo epistolare a più voci, in cui tanti personaggi diversissimi tra loro - alcuni realmente esistenti come il fratello di Daniel, altri di fantasia, come un’impareggiabile assistente - raccontano la propria vita trasformata dall’incontro con Daniel Stein (nel libro il nome è stato modificato per rispettare la libertà narrativa) in una presa di coscienza a volte scomoda e conflittuale, ma sempre illuminante.

In Italia, dove al momento prevale la cultura della polemica, il romanzo potrà suscitare diatribe per la parte “vaticana” della storia: nel 1984 Rufeisen fu convocato a Roma dal prefetto della Sacra congregazione per la dottrina della fede in seguito a denunce di suoi atteggiamenti “eretici”, come l’omissione del Credo nelle sue messe perché secondo lui di matrice ellenistica e quindi estraneo alle originali concezioni giudaico-cristiane. Il prefetto, descritto come «asciutto, senza emozioni e assai erudito», era l’allora cardinale Joseph Ratzinger. Se allora la protezione di Giovanni Paolo II, amico di Rufeisen da quando erano entrambi giovani sacerdoti in una parrocchia di Cracovia, lasciò indenne il carmelitano, nel 1995, al rinnovarsi delle accuse, gli fu interdetta la Messa. Ma padre Daniel non lesse mai la comunicazione, perché nel frattempo era morto.

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